Nel Museo della Certosa
di San Martino a Napoli è conservato il quadro “Il Tribunale della Vicaria”, cioè il tribunale di Castel
Capuano, attribuito a Carlo Coppola (sec. XVII). È uno di quei dipinti
che andrebbero osservati dettaglio per dettaglio, magari anche con una lente
d’ingrandimento, perché l’autore è dovizioso nell’inserirvi scene e personaggi
dell’epoca.
Diciamo subito che la facciata attuale di Castel Capuano si
presenta piuttosto diversa da come vi è rappresentata: ciò è dovuto al fatto
che a metà Ottocento fu abbondantemente rimaneggiata. Senza contare quella
sorta di insulto politico-architettonico costituito dallo stemma dei nostri deprecabili
conquistatori, i Savoia, fissato in alto.
Nato come fortezza forse già nel IX secolo, ma di sicuro completato
nelle sue forme fondamentali nell’XI secolo, fu adibito a palazzo reale e poi, a
partire dal 1540 e fino a pochi anni or sono, destinato a svolgere funzioni di
palazzo di giustizia e, anticamente, anche di carcere. Fu il Viceré Don Pedro
de Toledo che riunì in questa unica sede i vari tribunali, ciascuno con
competenze specifiche, sparsi nella città, come ricorda l’epigrafe che ancora
oggi è posta sulla facciata.
Osservando il quadro
nella sua interezza, si nota -nella parte bassa ed esattamente al centro- una
figura che appare piuttosto isolata dal movimento che tutt’attorno si sviluppa
in gruppetti di persone, carrozze, portantine. Non è che abbia intorno a sé
proprio il vuoto, impossibile in quel brulicare chiassoso, ma certamente gli
altri soggetti sono ad una certa distanza: quanto basta per evidenziare il
personaggio e renderlo immediatamente visibile e riconoscibile.
Chi era? Il
dettaglio del quadro ce lo
mostra vestito di scuro con il cappello tondo e due oggetti nelle mani: con la
destra porta alla bocca una lunga tromba e, nella sinistra, regge un foglio.
Trattasi del trombetta, chiamato anche precone, un pubblico banditore con il
compito di andare in giro ad affiggere decreti, sentenze, prammatiche, editti,
ecc., ma anche a far conoscere al pubblico il loro contenuto, annunciandolo con
il suono della sua tromba e proclamandolo a voce alta e comprensibile.
I servigi del trombetta
non erano certamente gratuiti, infatti per essi occorreva corrispondere il
dovuto in base ad un preciso tariffario. Questo tariffario è tutt’oggi esposto
nell’androne di Castel Capuano, ed è costituito da enormi epigrafi in marmo. È
datato 16 settembre 1617 e riguarda le incombenze giudiziarie civili e
criminali (come all’epoca venivano chiamati gli affari penali): leggendo il
lungo testo, si ha uno spaccato dell’attività giudiziaria del tempo.
Ebbene, in
una di esse troviamo anche
le tariffe per l’attività del trombetta. Per comprendere queste tariffe occorre
tener presente che 1 tarì valeva 2 carlini ed 1 carlino valeva 10 grana: quindi
10 grana corrispondendo a mezzo tarì.
per lo salario del trombetta per qualsivoglia
citatione civile o criminale ad
istantia di parte tanto per la citta e distretto come
per lo regno e tanto
ad istantia del cittadino come del forastiero grana
uno etiam si fussero
cento in una citatione seu mandato
che quando se chiama alcuna persona illustre si paghi
al detto trõbetta grana diece
che al trombetta pro iure sententiae overo decreto
quando se leggono in bãca per li
edomadarii se paghi grana diece e grana diece alli
aguzini
Altre due epigrafi,
ancora esposte in città, ci ricordano persino il nome di uno di questi
trombetta, in servizio a Napoli nella seconda metà del ‘700. La prima è in piazza San Domenico e contiene un banno del 7 luglio 1764; il trombetta che ne annunciò il contenuto, come si
legge nella stessa, si chiamava Domenico Zito: “Trombetta della Gran Corte
della Vicaria”. Nell’epigrafe, Zito attesta di avere reso pubblico il banno, il 2 luglio 1765, in
tutto il largo del monastero “a suono di
tromba alta et intelligibili voce”.
Il suo nome ricorre nuovamente nell’epigrafe di piazzetta
Teodoro Monticelli, contenente un banno del 19 luglio 1773 che Zito -come è specificato- pubblicò il 24 luglio successivo: segno che otto anni dopo il banno di piazza san Domenico egli
era ancora in servizio. L’epigrafe precisa che l’annuncio fu fatto, tromba e
voce, “ut moris est”: come di
consueto.
Per un'illustrazione dei banni tuttora presenti in città, si può leggere in questo blog: "Andar per banni".
Il lavoro del trombetta non doveva essere poi dei più facili, come del resto è per tutti i messi notificatori. Se proviamo a metterci nei suoi panni, possiamo immaginare l’ostilità con cui poteva essere accolto, essendo egli spesso foriero di “cattive notizie”, cioè di obblighi, divieti e sanzioni connesse, condanne ed esiti di attività giudiziaria. Immaginiamolo in piazza con la tromba, in mezzo alla folla che gli si raccoglie intorno, per ascoltare quanto ha da comandare. Chissà quante imprecazioni o battute salaci o scurrili avrà dovuto far finta di non udire, anche se talora era accompagnato da “aguzzini” cioè sbirri.
Il lavoro del trombetta non doveva essere poi dei più facili, come del resto è per tutti i messi notificatori. Se proviamo a metterci nei suoi panni, possiamo immaginare l’ostilità con cui poteva essere accolto, essendo egli spesso foriero di “cattive notizie”, cioè di obblighi, divieti e sanzioni connesse, condanne ed esiti di attività giudiziaria. Immaginiamolo in piazza con la tromba, in mezzo alla folla che gli si raccoglie intorno, per ascoltare quanto ha da comandare. Chissà quante imprecazioni o battute salaci o scurrili avrà dovuto far finta di non udire, anche se talora era accompagnato da “aguzzini” cioè sbirri.
Una figura d’altri
tempi, il trombetta, la sua voce squillante è un piccolo frammento della nostra storia
millenaria.
Quante cose da scoprire e imparare. Grazie Antonio
RispondiEliminaGrazie a te per l'attenzione.
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