13/11/22

Una famiglia di Neapolis

    Il duca Michele Vargas Macciucca nella sua opera “Dell’antiche colonie venute in Napoli ed i primi si furono i Fenici” (attribuita, però, al grecista p. Giacomo Orazio Martinelli di cui il Vargas Macciucca era mecenate), edita a Napoli nel 1764 dai Fratelli Simoni, segnala la presenza di un basamento risalente alla Neapolis del I secolo d.C. che “sta quasi seppellito in luogo assai indecoro del monistero de’ PP. Crociferi, i quali abitano presso il tempio di S. Giorgio” (vol. I, p. 270).

     Il convento dei Padri Crociferi, non più esistente, era sito nella zona di via Duomo e la base marmorea è oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN). Quel prezioso reperto racconta un episodio della vita di due fratelli e dei sentimenti di affettuoso orgoglio dei loro genitori, i quali anche nutrivano devozione e gratitudine verso altri due fratelli appartenenti alla sfera del mito e protettori della città.

    Era l’anno 170 d. C. e a Neapolis si disputava la 43a edizione dei Sebastà, i giochi isolimpici, grande competizione internazionale cui accorrevano famosi atleti, soprattutto dall’oriente, ma anche poeti, musici, cantori: perché questi giochi – a differenza di quelli olimpici - avevano anche delle sezioni artistiche, oltre che atletiche ed ippiche. Si affrontavano lunghi viaggi per accorrere ai Sebastà e il regolamento – i cui resti sono conservati nel Museo Archeologico di Olimpia in Grecia – prevedeva l’obbligo di giungervi almeno trenta giorni prima*. Prestigiosa ma altresì speciale questa competizione: infatti potevano partecipare le donne, cosa rara per tali eventi dell’epoca.

    Alle ambite gare internazionali se ne aggiungevano alcune riservate a particolari categorie: era il caso, ad esempio, di quelle in cui competevano solo cittadini di Neapolis. Giovani del posto che avevano così la possibilità di esprimere il loro valore davanti alla comunità di appartenenza e alle proprie famiglie e aspirare ad entrare nel più grande circuito ad altissimo livello.

Tito Flavio Zosimo e Flavia Fortunata, la mamma e il papà di due fanciulli valenti ed ambiziosi, dovevano fremere di attese e auspici per i loro due figlioli, Euanthes e Zosimos, che nei giorni dei Sebastà erano attesi alla prova di due gare. La loro famiglia apparteneva alla fratria degli Eumelidi (Εὐμηλεῖδαι φρήτορες). Le fratrie erano istituzioni amministrative, con un’impronta genealogica e cultuale, in cui era suddivisa la città. Erano una dozzina ed i nomi generalmente facevano riferimento ad un capostipite, reale o mitico, dei circoli familiari appartenenti. La fratria degli Eumelidi prendeva il nome da Eumelo - figlio di quell'Admeto che ospitò Apollo e che prese parte alla spedizione degli Argonauti - eroe in grande considerazione tra i Cumani e quindi a Neapolis.

    Il giorno tanto atteso, Euanthes corse il diaulo, cioè il doppio stadio, gara riservata ai fanciulli cittadini napoletani (παίδων πολιτικῶν δίαυλον) sulla distanza di circa 400 metri: gareggiò e vinse! Ma la famiglia di Zosimo e Fortunata festeggiò anche per un’altra vittoria: quella dell’altro figlio, Zosimos, nel τάγμα. Che cos’era il tagma? Non vi è assoluta certezza sul suo significato, ma sembrerebbe una gara riservata ai giovani di appartenenti ad un ordine riconosciuto (per esempio quello equestre o senatorio)**.

Resti del tempio di Demetra
in via S. Gregorio Armeno.

    Ad Euanthes fu data in premio una corona formata con spighe di grano, a Zosimos un premio diverso (βραβῖον) la cui natura è sconosciuta. Perché si utilizzava il grano per intrecciare la corona? Una delle ipotesi avanzate è che, secondo il mito, la tomba di Partenope fosse ricoperta di spighe di grano. Ciò richiamava l’aiuto nelle ricerche che le sirene avrebbero offerto alla dea delle messi Demetra, la cui figlia Persefone era stata rapita da Ade il dio degli Inferi. La spiga è riprodotta in rilievo su una faccia del basamento, così come, al lato opposto, la corona riportante al centro la scritta Σεβαστὰ (Sebastà).

   La fratria degli Eumelidi onorò i due fratelli vincitori proprio con l’iscrizione sulla base marmorea e, l’11 marzo (πρὸ εʹεἰδῶν Μαρτίων, cinque giorni prima delle idi di Marzo) dell’anno successivo (evidente per il fatto che i giochi si erano tenuti l’estate precedente e, del resto, per la citazione dei consoli Σεουήρωι e Ἑρεννιαν[ῶι] in carica nel 171), i genitori, che avevano già dedicato statue ai Dioscuri Castore e Polluce, protettori (fretori) della fratria, aggiunsero candelabri con lucerne e altari: doni votivi in ringraziamento, come indicato su un’altra faccia della base.

L'iscrizione della fratria.
L'iscrizione dei genitori.

    I Dioscuri erano largamente venerati a Neapolis e il loro tempio si trovava nell’area dell’attuale Basilica di San Paolo Maggiore, in via Tribunali, del quale sopravvivono due colonne inserite sulla facciata. Papà, mamma e i due fratelli, una famiglia di Neapolis, verosimilmente vi si recavano spesso, per invocare l’aiuto dei due gemelli semidei figli di Zeus e Leda. Del resto, il poeta napoletano Publio Papinio Stazio, vissuto nel I secolo d.C., annovera i Dioscuri tra gli dei patri della città, cioè collegati alla sua fondazione, insieme ad Apollo e Demetra.

Colonne del tempio dei Dioscuri
(Basilica di S. Paolo Maggiore).

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V. Diva Di Nanni Durante, 2008.

**V. Elena Miranda De Martino, 2017.

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