11/02/25

Vico Lampadio

 

Il culto della sirena Partenope, che nella raffigurazione mitica originaria è sempre un grande uccello con la testa di donna e mai una donna con una grande coda di pesce, è strettamente legato alla storia più antica di Napoli.

Nella chiesa di San Giovanni Maggiore, a pochi passi da Spaccanapoli, c’è una singolare lapide anticamente considerata la tomba di Partenope. Si tratta in realtà di un’epigrafe risalente al IX o X secolo, quando Napoli era un Ducato autonomo bizantino. Un’invocazione di protezione, elevata forse a San Gennaro, per la città chiamata con l’antico nome “Partenope”, con al centro una croce e intorno la scritta:

+ OMNIGENUM REX AITOR

SCS IAN

PARTHENOPEM TEGE FAUSTE

Strabone, lo storico e geografo vissuto tra il I secolo a.C. e il I d.C., nella sua monumentale opera “Geografia”, a proposito della tomba della sirena scrive: «Dopo Dicearchia c’è Neapolis, città dei Cumani (più tardi vi si trasferirono anche dei Calcidesi ed alcuni da Pitecusa e da Atene, perciò poi la chiamarono Neapolis). Quivi si suole indicare la tomba di Partenope, una delle Sirene, e secondo un antico oracolo vi si tiene anche un agone ginnico» [1].

L’intima relazione tra i due nuclei - Partenope e Neapolis – rende la città attuale assolutamente continuazione tanto dell’uno quanto dell’altro. La nostra storia risale approssimativamente all'VIII sec. a. C. e non al V, perciò occorrerebbe mettere da parte la recente abitudine di non computare il nucleo originario di Partenope per stabilire l’età di Napoli che, dunque, ha ben più di duemilacinquecento anni. Senza una polis vecchia, non si sarebbe potuto parlare di una nuova polis: νεα πολισ Neapolis. Come non si può computare l’età di una persona a partire dall’adolescenza, tralasciandone l’infanzia, così è necessario evitare di far coincidere la nascita della città col tracciamento di Neapolis.

Didrammo di Neapolis 450-430 a.C. (Napoli, Museo Archeologico)

Dal didrammo di Neapolis (450-430 a.C.) si evince come i neapolitani avessero piena contezza del fatto che la loro storia fosse iniziata ben anteriormente con Partenope. Tanto che le prime monete a circolare nella nuova città, costituivano un esplicito elemento di continuità con il precedente nucleo urbano. Sul recto c'è la testa di Partenope e sul verso Acheloo, padre della sirena, in forma di toro androprosopo cioè dal volto umano (e barbuto). Un oggetto di uso quotidiano che, passando di mano in mano, ricordava agli abitanti di non essere appena nati, ma di avere alle spalle una notevole storia carica di avvenimenti. Il toro androprosopo fu anche interpretato come Ebone, ΗΒΟΝΙ ΕΠΙΦΑΝΕΣΤΑΤΩ ΘΕΩ (chiarissimo dio), all’origine della mitica fondazione di Cuma e promesso sposo di Partenope: quasi a sancire un’alleanza tra le due polis. In tal senso il mito fu ripreso, duecento anni or sono, in una rappresentazione al Real Teatro di San Carlo, il 12 gennaio 1824 in occasione del compleanno di Ferdinando I delle Due Sicilie: un esempio di come rievocare un mito senza impoverire la storia.

 Strabone, come detto, riferisce anche di un agone ginnico che si svolgeva a Partenope-Neapolis: si tratta della lampadedromia (detta anche lampadoforia), l’annuale corsa con le fiaccole in onore della sirena Partenope. Non può trattarsi dei Sebastà (i Giochi Isolimpici) per almeno due motivi: anzitutto perché al tempo di Strabone erano di recente istituzione imperiale (2 a.C.) e non per “antico oracolo”, poi perché di questi egli scrive in un passo successivo [2]: «Al presente vi si tengono ogni cinque anni giochi sacri di musica e di ginnastica che durano parecchi giorni, tali da poter competere con i più celebri della Grecia». Ma proprio la relazione tra lampadedromia e Sebastà apre ad un’ulteriore riflessione sulla connessione inscindibile tra il nucleo di Partenope e quello di Neapolis. Tra le competizioni dei Sebastà è menzionata, in un catalogo databile all’82 d.C., una λαμπάς per Augusto, cosa che rimanda al rapporto tra l’antico culto di Partenope e quello nuovo per l’imperatore [3]. L’inserimento di questa gara nei Sebastà – la Sebastou lampàs – sia che fosse avvenuto per fissare una continuità con il passato, sia che fosse deliberato per contrapporre la venerazione dell’imperatore a quella riservata a Partenope, testimonia l’inscindibilità Partenope-Neapolis, indipendentemente dal fatto (ancora incerto) che essa sia stata introdotta nei Giochi dopo la morte di Augusto o, più probabilmente, fin dal loro inizio. La Sebastou lampàs è un elemento che può rimandare con spessore al tentativo degli imperatori di presentarsi come divinità: tantopiù per il valore simbolico della gara con le fiaccole.

 Come si svolgeva la lampadedromia?

L’umanista Niccolò Leonico Tomeo (1456-1531) nel De varia historia libri tres (I ed. 1531) ha descritto quella che proprio ad Atene partiva dall’Accademia: qui gli atleti attingevano il fuoco all’altare di Prometeo, collocato all’interno del recinto sacro. Questo racconto può gettare una luce sullo svolgimento della gara napoletana. Anzitutto vi era una regola ferrea: durante la corsa, le fiaccole portate dai lampadofori non dovevano mai spegnersi. In caso contrario, a nulla sarebbe valso arrivare primi, la vittoria sarebbe stata assegnata al secondo o al terzo e così via, cioè al primo arrivato con la fiaccola accesa. Se nessuna fiaccola fosse giunta infuocata all’arrivo, non ci sarebbe stato vincitore [4]. Anche Giulio Cesare Capaccio (1550-1634), riportando quanto scritto da Pausania (II sec. d.C.) a proposito dell’agone di Atene, specifica la regola fondamentale della corsa: vince chi per primo arriva al traguardo con la fiamma accesa, dunque anche se secondo o terzo, eccetera; se poi tutte le fiaccole si spengono non vi è vincitore [5]. Quale era il premio? Forse colui che giungeva primo con la fiaccola accesa riceveva una corona e una giara di vino [6].

 Ma come era nata la lampadedromia in onore della sirena Partenope? 

Vico Lampadio
come si presenta oggi
(lato via Giudecca Vecchia)
Lo storico siciliano Timeo (356 a. C. ca. - 260 a. C. ca.) racconta del navarco Diotimo, comandante della flotta ateniese. Egli giunse a Napoli intorno al 452. a. C., con una nutrita schiera di nuovi abitanti: l’epoikia ateniese. In città aveva voluto celebrare l’inizio di una nuova era nella storia di Neapolis ed un rapporto positivo con essa: fece un sacrificio a Partenope e istituì una corsa con le fiaccole dedicata alla sirena, divinità protettrice, obbedendo ad un oracolo. Il poeta Licofrone, nativo di Calcide (330 a.C. ca. - ?), nell’Alessandra (Cassandra) ci ha lasciato la prima attestazione del culto di Partenope con l’istituzione della lampadedromia, organizzata poi annualmente dai neapolitani [7]. Ma non è da escludersi che questa tipologia di gara preesistesse; del resto anche il culto di Demetra, alla quale era dedicato il tempio sull’acropoli di Neapolis e che nel I secolo d.C. Stazio annovera tra gli dèi poliadici (patri), conosceva un rituale caratterizzato da una simile corsa [8]. In effetti la lampadedromia era già praticata e consolidata, come ricorda Lorenzo Giustiniani che fu bibliotecario e studioso della Reale Biblioteca di Napoli [9]. Egli riferisce, inoltre, che la gara si svolgeva nella zona dell’antico ginnasio, collocato in quella Regio Furcillense [10] dove un toponimo la ricordava: vico Lampadio.

 Questo vicolo è citato anzitutto in una lettera di San Gregorio Magno, che fu Papa dall’anno 590 al 604. Egli, scrivendo nel 593 a San Fortunato II, Vescovo di Napoli dal 593 al 600 [11], dice che una patrizia di nome Rustica nelle sue ultime volontà aveva destinato la propria abitazione, sita in vico Lampadio nella regione Ercolense, alla realizzazione di un monastero femminile [12].

Fabio Giordano (1539/40-1589), erudito e studioso di topografia storica di Napoli, ritenne che il vicus Lampadi prendesse il nome dalla Lampadedromia, poiché si trovava in un’area prossima al ginnasio e dunque sul suo percorso [13].

Didrammo di Neapolis, 340-241 a.C 
Washington Numismatic Gallery, Inc.
Carlo Celano (1617-1693) chiarisce che quel vicolo è poi stato chiamato vico della Pace [14] come noi ancora oggi lo conosciamo: esso mette in comunicazione via Tribunali con via Giudecca Vecchia e, nel punto più stretto, misura appena m. 1,80 di larghezza. Il Celano riporta anche la notizia di Diotimo, che volle consultare di persona l’oracolo di Partenope e, ottenutane la desiderata risposta, celebrò con grande solennità la festa di ringraziamento in suo onore e dette inizio alla lampadedromia: cosa che poi ripeterono con gran fasto anche i napoletani ogni anno, arrivando a coniare monete con le fiaccole [15]. Il didrammo coniato tra il III e il II sec. a.C. reca sul dritto la testa della sirena Partenope e, dietro di lei, Artemide con la fiaccola che simboleggia probabilmente le lampadedromie; sul verso la Nike in volo incorona il toro androprosopo.
Ulisse e le sirene
(Staatliche Museen, Berlino, IV sec. a.C.)

Bartolommeo Capasso (1815-1900) menziona vico Lampadio collegandolo direttamente all’istituzione delle corse lampadiche, che ascrive a Diotimo, precisando: «Esse consistevano in una gara tra uomini forniti di una fiaccola accesa, i quali dovevano senza farla smorzare correre tutt’insieme da un punto prefisso ad un altro. Non potevano aspirare alla palma coloro cui spegnevasi la face» [16]. Il vico si chiamava così «o perché conteneva la palestra in cui la gioventù imparava a correre portando la face accesa, o perché là si ordinava e incominciava la corsa». Quanto al percorso, anche Capasso ritiene che la gara non si svolgesse all’interno del ginnasio ma, a somiglianza di Atene, si sviluppasse all’esterno: partenza dal vico Lampadio e arrivo al tempio della divinità cui erano dedicate [17]. Egli colloca quella di Partenope, seguendo Fabio Giordano, «nel punto più elevato della città, presso il tempio della Fortuna» [18].

L’architetto Niccolò Carletti, che aveva curato le didascalie alla famosa Mappa topografica del Duca di Noja (Napoli, 1775), scrive di vico Lampadio [19] già all’epoca ribattezzato vico della Pace. Egli rammenta che in zona vi era lo stadio «per le carriere Lampadiche» e di queste disegna il percorso nelle strade intorno al ginnasio. I lampadofori uscivano da quest’ultimo e si dirigevano verso il largo in cui oggi sorge Castel Capuano; raggiunto il Tempio di Partenope, giravano intorno alle mura per la via Lampadica e, attraverso via Soprammuro, ritornavano al ginnasio, dove al tempo dell’Autore ancora vi era la Chiesa della Maddalena, demolita alla fine degli anni ‘50 del Novecento.


Dettaglio della Mappa del Duca di Noja (1775)
con evidenziati vico Lampadio e l'area del ginnasio.

 L’antica radice non ha mai smesso di alimentare la continuità identitaria della città, anche quando era ormai entrata nel mondo romano e la sua grecità si faceva eccezione, via via più labile, nel contesto geopolitico peninsulare. Anzi, a partire dalle Georgiche di Virgilio (70 a.C.–19 a.C.) e dunque in età imperiale, è diffuso l’uso letterario del toponimo Parthenope per indicare Neapolis, tanto che è possibile che proprio così si facesse strada l’idea di cambiare il nome di Neapolis per tornare a quello di Parthenope, cosa che poi non si concretizzò forse per volere di Augusto [20].

Ulisse e le sirene
(British Museum, Londra, V sec a.C.)
 Vico Lampadio, in conclusione, è strettamente collegato alla storia della città attraverso una tradizione identitaria antichissima: la sua attualizzazione potrebbe costituire un grande evento periodico di richiamo internazionale. L’idea non è del tutto nuova, infatti ci sono state alcune meritorie recenti iniziative. Tuttavia le condizioni necessarie per un rilancio definitivo, ampio e non occasionale dello storico agone mi sembrano essere: la selezione dei partecipanti (dunque non un evento di massa), il carattere agonistico, la fedeltà - per quanto possibile - alle regole, all’aspetto delle fiaccole e al percorso originali, ma l’uso di attrezzature contemporanee per quanto concerne l’abbigliamento di gara. Dunque non un’esperienza di rievocazione o ricostruzione ma di attualizzazione. Partecipare alla “Lampadedromia di Napoli” dovrà diventare un’ambizione: un evento sportivo, culturale e mediatico annuale all’altezza delle più celebri competizioni internazionali.

Questo appuntamento ufficiale e ricorrente della città, festa della sirena Partenope, avrebbe ricadute educative e sociali importanti. Anzitutto ricorderebbe che, con i ricchi lasciti di Partenope e di Neapolis, Napoli è una tra le città più antiche al mondo abitate senza soluzione di continuità fino ad oggi, dotata di un immenso patrimonio storico-culturale. Per superare le pressanti azioni di mortificazione razzista antinapoletana e di colonizzazione mentale, educare alla consapevolezza e all’identità è una strada efficace per il cambiamento: una strada nuova per la pace, un Vico Nuovo della Pace.



_________________________

[1] «Μετὰ δὲ Δικαιάρχειάν ἐστι Νεάπολις Κυμαίων (ὕστερον δὲ καὶ Χαλκιδεῖς ἐπῴκησαν καὶ Πιθηκουσσαίων τινὲς καὶ Ἀθηναίων, ὥστε καὶ Νεάπολις ἐκλήθη διὰ τοῦτο), ὅπου δείκνυται μνῆμα τῶν Σειρήνων μιᾶς Παρθενόπης, καὶ ἀγὼν συντελεῖται γυμνικὸς κατὰ μαντείαν» (V,7).

[2] «νυνὶ δὲ πεντετηρικὸς ἱερὸς ἀγὼν συντελεῖται παρ᾽ αὐτοῖς μουσικός τε καὶ γυμνικὸς ἐπὶ πλείους ἡμέρας, ἐνάμιλλος τοῖς ἐπιφανεστάτοις τῶν κατὰ τὴν Ἑλλάδα.» (V,7).

[3] Elena Miranda, L’identità greca di Neapolis, in L’héritage grec des colonies romaines d’orient. Interactions culturelles dans les provinces hellénophones de l’empire romain, Éditions de Boccard, Paris 2017, pp. 355-370.

[4] «ut intercurrendum accensas conservarent faces, quae si cui extinguebatur in opere, nihil erat primas currendo tulisse (…) quod si omnibus continenter extinctae fuissent faces, nulli proculdubio eius rei victoria ascribebatur» (Niccolò Leonico Tomeo, De varia historia libri tres, Gryphius, Lione 1532, p. 51).

[5] Neapolitanae Historiae, Io. Iacobum Carlinum, Napoli 1607, tomo I, p. 261.

[6] Roy Merle Peterson, The Cults of Campania, Alfieri & Lacroix, Roma 1919 p. 177.

[7] I fratelli Isacco e Giovanni Tzezes, letterati originari di Costantinopoli, vissero nel XII secolo; ciascuno di essi rivendicò di essere l’autore del commento all’Alexandra di Licofrone (Lycophronis, Alexandra, a cura di Eduard Scheer, vol. II scholia continens, Berolini, Weidmann 1881). In esso, citando Timeo, si racconta di Diotimo a Neapolis: «Τίμαιος ὁ Σικελικός φησι, Διότιμον, τὸν Ἀθηναῖον ναύαρχον, παραγενόμενον εἰς Νεάπολιν, κατὰ χρησμὸν θῦσαι τῇ Παρθενόπῃ·καὶ δρόμον ποιῆσαι λαμπαδικὸν, ὅνπερ λαμπαδικὸν ἀγῶνα καὶ δρόμον οἱ Νεαπολῖται ἐτησύος ἐτέλουν… Διότιμος δὲ εἰς Νεάπολιν ἦλθεν, ὅτε στρατηγὸς ὢν τῶν Ἀθηναίων ἐπολέμει τοῖς Σικελοῖς» (Karl Müller, Fragmenta Historicorum Graecorum, Ambrosio Firmin Didot, Parigi 1861, p. 218). Emanuele Ciaceri, La Alessandra di Licofrone. Testo, traduzione e commento, Giannotta, Catania 1901.

[8] «tuque, Actaea Ceres, cursu cui semper anhelo / votivam taciti quassamus lampada mystae» (Publio Papinio Stazio, Silvae, IV, 8, 50-51).

[9] Lorenzo Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, s.e., Napoli 1803, tomo VI, pp. 207-208. Il Dizionario fu pubblicato in dieci tomi tra il 1797 e il 1816.

[10] Chiamata anche Nolana o Termense o Herculense.

[11] Daniello Maria Zigarelli, Biografie dei Vescovi e Arcivescovi della Chiesa di Napoli, Gioja, Napoli 1861, pp. 21-22. Arcidiocesi di Napoli, La cronotassi episcopale inserita nella storia della città, Archivio Storico Diocesano, Napoli 2016.

[12] «Rustica per ultimum voluntatis suae arbitrium, in civitate Neapolitana, in domo propria, in regione Herculensi, in vico qui appellatur Lampadi, monasterium construi voIuerit ancillarum Dei». (S. Gregorio Magno, Registrum epistolarum, III, 63). Bartolommeo Capasso, Napoli greco-romana esposta nella topografia e nella vita, a cura della Società Napoletana di Storia Patria, Pierro, Napoli 1905, p. 169, nota 102. Ufficio Tecnico degli Scavi delle Province Meridionali, Pompei e la regione sotterrata dal Vesuvio nell’anno LXXIX, Giannini, Napoli 1879, p. 14.

[13] Fabio Giordano, Descriptio Campaniae Veterumque monumentorum et locorum in ea existentium, manoscritto autografo custodito nella Biblioteca Nazionale di Napoli, XIII.B.26 (opera elaborata tra il 1571 e il 1589).

[14] Carlo Celano, (1692) Notizie del bello, dell’antico, e del curioso della città di Napoli raccolte dal Can.o Carlo Celano […] con aggiunzioni […] per cura del Cav. Giovanni Battista Chiarini, Floriana, Napoli 1856, vol. II, p. 372.

[15] Carlo Celano, op. cit., Floriana, Napoli 1856, vol. II, pp. 363 e 371-373; Chiurazzi, Napoli 1870, vol. III, p. 814; Mencia, Napoli 1859, vol. IV p. 172.

[16] Bartolommeo Capasso, Napoli greco-romana esposta nella topografia e nella vita, a cura della Società Napoletana di Storia Patria, Pierro, Napoli 1905, p. 45.

[17] Bartolommeo Capasso, op. cit., p. 46.

[18] Bartolommeo Capasso, op. cit., p. 93.

[19] Niccolò Carletti, Topografia universale della città di Napoli in Campagna Felice, Stamperia Raimondiana, Napoli 1776, pp. 142-143 e 149-150.

[20] Gaius Julius Solinus (III sec. d. C.): «Parthenope a Parthenopis Syrenis sepulchro, quod oppidum postea Augustus Neapolim esse maluit» (Collectanea rerum memorabilium, II, 9). «Partenope dal sepolcro di Partenope Sirena, laquale Augusto volle che piu tosto di chiamasse Napoli» (Solino, Delle cose maravigliose del mondo, tradotto dall’Illustriss. Signore don Giovanni Vincenzo Del Prato, Conte d’Anversa, Gabriel Giolito de’ Ferrari, Venezia 1559, p. 49). Sant’Isidoro di Siviglia (ca. 560 - 636): «Parthenopea Parthenope quadam virgine illic sepulta Parthenope appellata; quod oppidum postea Augustus Neapolim esse maluit» (Etymologiae, XV, 60).


Nota bibliografica

- Arcidiocesi di Napoli, La cronotassi episcopale inserita nella storia della città, Archivio Storico Diocesano, Napoli 2016.

- Capaccio Giulio Cesare, Neapolitanae Historiae, Carlinum, Napoli 1607, tomo I.

- Capasso Bartolommeo, Napoli greco-romana esposta nella topografia e nella vita, a cura della Società Napoletana di Storia Patria, Pierro, Napoli 1905.

- Carletti Niccolò, Topografia universale della città di Napoli in Campagna Felice, Stamperia Raimondiana, Napoli 1776.

- Celano Carlo, Notizie del bello, dell’antico, e del curioso della città di Napoli raccolte dal Can.o Carlo Celano […] con aggiunzioni […] per cura del Cav. Giovanni Battista Chiarini, Floriana, vol. II, Napoli 1856; vol. III, Chiurazzi, Napoli 1870; vol. IV, Mencia, Napoli 1859.

- Ciaceri Emanuele, La Alessandra di Licofrone. Testo, traduzione e commento, Giannotta, Catania 1901.

- Fusillo Massimo, L’“Alessandra” di Licofrone: Racconto epico e discorso ‘drammatico’, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, vol. 14, no. 2, 1984, pp. 495–525.

- Giordano Fabio, Descriptio Campaniae Veterumque monumentorum et locorum in ea existentium, manoscritto autografo custodito nella Biblioteca Nazionale di Napoli, XIII.B.26.

- Giustiniani Lorenzo, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, s.e., Napoli 1803, tomo VI.

-  Gregorio Magno, Registrum epistolarum.

- Isidoro di Siviglia, Etymologiae.

-Lycophronis, Alexandra, a cura di Eduard Scheer, vol. II scholia continens, Berolini, Weidmann 1881.

- Miranda Elena, L’identità greca di Neapolis, in L’héritage grec des colonies romaines d’orient. Interactions culturelles dans les provinces hellénophones de l’empire romain, Éditions de Boccard, Paris 2017, pp. 355-370.

- Müller Karl, Fragmenta Historicorum Graecorum, Ambrosio Firmin Didot, Parigi 1861.

- Peterson Roy Merle, The Cults of Campania, American Academy in Rome, Alfieri & Lacroix, Roma 1919.

- Rea Giuseppina, Scavi archeologici e scoperte di antichità nella città di Napoli nella Historia Neapolitana di Fabio Giordano, diss. Dottorato di ricerca in Scienze archeologiche e storico artistiche, Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento di Studi Umanistici, ciclo XXIV, a.a. 2011/2012.

- Rossi Alessio Niccolò, Dissertazioni intorno ad alcune materie alla città di Napoli appartenenti, vol. I, Stamperia Muziana, Napoli 1758.

- Solinus Gaius Julius, Collectanea rerum memorabilium. [trad. it.: Solino, Delle cose maravigliose del mondo, tradotto dall’Illustriss. Signore don Giovanni Vincenzo Del Prato, Conte d’Anversa, Gabriel Giolito de’ Ferrari, Venezia 1559].

- Statius Publius Papinius, Silvae.

- Στράβων, Γεωγραϕικά. [trad. it.: Strabone, Geografia, libri V-VI (introduzione, traduzione e note di Anna Maria Biraschi), Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 19943].

- Tomeo Niccolò Leonico, De varia historia libri tres, Gryphius, Lione 1532, p. 51. [trad. it.: Li tre libri di Nicolò Leonico de varie historie, nuovamente tradotti in lingua volgare, s.e., Venezia 1544].

- Ufficio Tecnico degli Scavi delle Province Meridionali, Pompei e la regione sotterrata dal Vesuvio nell’anno LXXIX, Giannini, Napoli 1879.

Zigarelli Daniello Maria, Biografie dei Vescovi e Arcivescovi della Chiesa di Napoli, Gioja, Napoli 1861.


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Le foto della Washington Numismatic Gallery, dello Staatliche Museen di Berlino e del British Musem di Londra sono tratte dai rispettivi siti.

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