La chiesa di Santa Maria del Carmine
alla Concordia fu edificata a Napoli nel Cinquecento, ai Quartieri Spagnoli,
con annesso un convento dei frati carmelitani. Questo edificio, nei secoli, ha
cambiato più volte destinazione: nell’Ottocento fu utilizzato come penitenziario; nel
1915 diventò carcere minorile e infine, dal 1918 ad oggi, è adibito ad
abitazioni.
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L'ex carcere della Concordia. |
Nel 1861 vi presta servizio in qualità
di Cappellano padre Montuori, fratello del Parroco della
chiesa di San Liborio alla Carità. Questa storia inizia il 27 gennaio: la data
è importante. Quel giorno, infatti, il Regno d’Italia ufficialmente ancora non
esiste, lo sarà a partire dal 17 marzo, e tuttavia si svolgono le prime
elezioni parlamentari (su tale contraddizione si può leggere “Capriole giuridiche” in questo blog). Non c’è stata ancora la capitolazione di Gaeta -
13 febbraio - per cui la guerra di aggressione subita dalle Due Sicilie è in
corso e Napoli è ancora la capitale del Regno, sebbene occupata dal 7 settembre
precedente. È domenica e padre Montuori si reca al
carcere della Concordia per celebrarvi la Messa. Dopo l’occupazione di Napoli, esso è utilizzato per i detenuti politici; come i penitenziari di
Santa Maria Apparente, di San Francesco a Capuana, di Nisida o, per le donne,
di Santa Maria ad Agnone. Giunto all’Oremus,
quando il celebrante prega e raccoglie l’amen corale di tutti i
partecipanti, pronuncia un’orazione per Francesco II. Non è una preghiera che
il cappellano crea sul momento e inserisce nel rito per proprio capriccio, semplicemente
legge quella posta nella liturgia. Era questa una delle contestazioni avanzate
dal regime al comportamento del Cardinale Sisto Riario Sforza. Nella relazione
del 21 agosto 1861, indirizzata al Luogotenente Generale e contenente dettagli
sui motivi del secondo esilio dell’Arcivescovo di Napoli, iniziato il 31
luglio, da girare al Ministro di Grazia e Giustizia e degli Affari
ecclesiastici che li richiede, si inserisce anche la seguente recriminazione: «conservava
nei libri liturgici la preghiera per l’ex Re»[1].
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Dalla relazione del 21/8/1861. |
Evidentemente stigmatizzata come violazione di un divieto! Tuttavia è evidente che, considerando la cosa con limpidezza e onestà, alla data del 27 gennaio 1861 si trattava oggettivamente di un’orazione per il Sovrano ancora regnante e presente sul territorio nazionale.
Il 30 gennaio esce a Napoli il primo numero de “La Parola Cattolica”. Si tratta di un
bisettimanale, marcatamente antiborbonico e che reca lo stemma dei Savoia in cima, nato per orientare il mondo cattolico verso un'opinione favorevole all’annessione delle Due Sicilie, soprattutto il clero: operazione ipocrita e velleitaria, considerando che sotto gli occhi di vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli tutti si andavano consumando, di giorno in giorno, le angherie degli occupanti verso la Chiesa. Su quel primo foglio, dunque, vengono tra l’altro pubblicate due
note.
In una, si bacchettano i vescovi che hanno
inserito nella liturgia un’orazione per Francesco II: «Sappiamo che taluni Vescovi nel nuovo Calendario
abbiano posto l’Oremus pro Francisco II rege nostro, e che taluni
sacerdoti nelle chiese lo recitano a voce alta: noi preghiamo la parte più sana
del clero a riparare a questo scandalo, e le potestà civili a raffrenare i
faziosi, e quei che si adoperano a perturbare ogni cosa per vederci miseri e
schiavi di ogni più triste signoria.»
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La Parola Cattolica del 30/1/1861. |
Nell’altra, si richiama
l’attenzione del governo sull’Oremus
per Francesco II da parte del cappellano del carcere della Concordia, riservando anche parole di disprezzo per i prigionieri politici: «In ciascuna festa di doppio precetto
suolsi recare un sacerdote a celebrare la messa nella chiesa della Concordia
per i prigioni, che stanno nel carcere attiguo e che porta lo stesso nome. Ivi
la maggior parte di quei carcerati son gente rubella all’ordine presente,
reazionarii tutti, dell’infima plebe corrotti dall’oro che si manda da Roma e
da Gaeta per eccitare eccidii e saccheggi. Ora domenica, quel sacerdote che
celebrava la messa a questi carcerati intuonava l’Oremus pro Francisco II (...) Noi richiamiamo l’attenzione delle autorità sì civili
che ecclesiastiche; acciocché le une facciano rispettare gli ordini costituiti,
e quella forma di governo che il popolo si è dato, le altre acciò la Religione
non sia manomessa e resa strumento di fazioni triste e forsennate»[2].
Il 31 gennaio dal Dicastero di Polizia
si ordina al Questore di Napoli di accertare i fatti che il periodico ha esposto
il giorno prima e, in caso di riscontro, «colla massima prontezza passare
all’arresto del prete e metterlo a disposizione del potere giudiziario per la
relativa procedura».
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Il Popolo del 31/1/1861. |
Lo stesso giorno 31, “Il Popolo” offre un resoconto frutto di una lettera al giornale di tal «Alessandro R.... Testimone oculare», indicato con la sola iniziale del cognome. Vale la pena riprendere il testo integrale: «Domenica 27 volgente il sacerdote Montuori fratello al parroco di S. Liborio, nel celebrare la messa ai detenuti borbonici alle carceri della Concordia, pregò nell’Oremus di suffragio pei vivi, pro rege nostro Francisco: Vorremmo sapere perché il governo avendone il dritto, non chiama i presti al giuramento? Bisognerebbe finirla una volta con questa clericaia reazionaria verso della quali è ormai tempo di persuadersi che qualunque indulgenza, o tolleranza lungi di produrre lusinga d'emendamento la rende vieppiù audace e calda. Esiste o nò il decreto che sottopone a giudizio cotesti merciaiuoli della religione, che per efeftto del loro ministerio promuovono dissidio nel paese; e reazione verso l'attuale regime? anzi nel caso esposto il Montuori non potrebbe evitare pena di fellonia avendo esplicitamente inviata a Dio preghiera per un Re che non è nostro perché decaduto pel suffragio di tutto un popolo e che non lo sarebbe a costo del nostro sangue»[3].
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Dalla relazione dell'11/2/1861. |
La Questura di Napoli avvia un’indagine.
La relazione di risposta è redatta il giorno 11 febbraio dal Segretario
Generale della Questura Nicola Amore. Effettivamente - egli scrive - il celebrante «erasi
ardito a recitare una orazione per Francesco Secondo» durante la Messa
festiva e ne sono testimoni gli uomini della Guardia Nazionale presenti. Questi
ultimi vengono biasimati e tacciati di negligenza, perché non hanno proceduto
all’arresto in flagranza di padre Montuori, preferendo invece passare la notizia alla stampa; tuttavia è già stato denunciato «lo
scandaloso avvenimento» al Procuratore Generale. Il giorno dopo, il
Consigliere dei Lavori Pubblici – che ha competenza sulle carceri – è invitato
a destituire dalla funzione di cappellano della Concordia padre Montuori.
É l’ennesimo atto di prepotenza posto in
essere prima ancora che la resa si concretizzi il 13 febbraio. Uno dei suoi
interpreti è, come detto, Nicola Amore il quale due anni dopo, diventato
frattanto Questore, sarà protagonista della strage degli operai di Pietrarsa. Trascorsi
pochi giorni dalla dolorosa capitolazione, il 18 febbraio si riunirà a Torino per
la prima volta quel Parlamento eletto la domenica in cui il Cappellano aveva
recitato la preghiera proibita.
Padre Montuori fu persona valorosa: in tempo di persecuzione della Chiesa pregò per Francesco II
pubblicamente e lo fece in modi e circostanze del tutto appropriate: durante un’azione liturgica e nella forma prescritta dall’Ordinario. A questo coraggio nonviolento e trasparente si contrappose l’arroganza cupa del regime instaurato dai conquistatori, i quali si
sentivano in diritto di calpestare chi volevano e come volevano.
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Dalla nota del 31/1/1861. |
L’episodio non va superficialmente
considerato nei termini di simpatia/antipatia per Francesco II, esso piuttosto ci
consegna l’occasione per un’inquietante riflessione. La repressione del
dissenso all’annessione non dette luogo soltanto alle crudeli e numerose stragi
di civili, né si estese solo ad una campagna di manipolazione ideologica: essa
fu anche minuziosamente pervasiva della vita quotidiana e dell’espressione della fede.
L’inibizione di qualsiasi forma di contestazione raggiunse livelli
morbosi. E se questa ossessione maniacale e senza pietà fu la risposta che chi si
era impossessato del potere sentì essere indispensabile per consolidarlo, ciò
vuol dire una e una cosa sola: la popolazione delle Due Sicilie resisteva anche
disarmata all’idea di essere assorbita e assoggettata a quell’intrallazzo che
chiamavano unità d’Italia e che, dal 7 settembre 1860, aveva fissato il destino
di Napoli da capitale colta e brillante a serva bastonata e stracciata.
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Chiesa e convento della Concordia nella mappa Baratta del 1670. |
______________________[1] Gli atti citati in questo articolo sono
conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli, Fondo Ministero della Polizia
Generale - Serie Gabinetto - Espedienti, b. 1716, vol. 27.
[2] Questo giornale può essere consultato sia presso la Biblioteca delle Civiche Raccolte Storiche di Milano (coll. GNEC C 5135) che presso la Biblioteca Casanatense di Roma (coll. PER est.A 18).
[3] Questo giornale può essere consultato presso la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma (coll. PER Ris. 261).
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