La resistenza duosiciliana all’invasione sardo-piemontese iniziata nel
1860, si espresse almeno in tre forme: resistenza militare armata, resistenza
civile armata, resistenza civile nonviolenta.
Anzitutto ci fu il contrasto militare che l’esercito delle Due Sicilie oppose
all’aggressione subita dal nostro Paese ad opera del Regno di Sardegna; qui si
registrò, accanto all’eroismo di molti, il tradimento di alcuni alti ufficiali
corrotti, che erano stati comprati dagli aggressori per poter vincere la
guerra.
Dopo la sconfitta formale, si organizzò la resistenza popolare armata:
gli occupanti dovettero faticare una decina di anni per venirne a capo, con
molte stragi, violenze diffuse, tribunali speciali, norme ad hoc, assenza di garanzie e di rispetto per la popolazione
civile. Un bagno di sangue per giustificare il quale, il neonato esercito
italiano dovette ricorrere alla scappatoia della lotta al brigantaggio: e briganti
furono chiamati i resistenti duosiciliani.
Vi fu anche un’altra forma di resistenza, rimasta sconosciuta e da studiare, di carattere civile e nonviolento, alla quale sto lavorando in
una prospettiva pedagogico-politica: cioè nel quadro di una riflessione
sull’educazione all’identità e alla difesa nonviolenta, come sostegno al
processo di liberazione dell’attuale Sud dell’Italia. Ciò di cui stiamo
parlando concerne, addirittura, un periodo antecedente la nascita del Mahatma Gandhi (2
ottobre 1869). Questi, se non fu l’inventore della nonviolenza, esistente nei
suoi valori e principi fondamentali già nel sapere antico, soprattutto di
carattere religioso e non solo, fu senz’altro colui che ne approfondì ampiamente le implicazioni, vivendole in maniera esemplare, e che per primo la concretizzò in un modello organizzato di difesa alla portata di tutti, anche dei più
poveri, di incredibile efficacia e di profondo spessore etico.
A questa terza forma di resistenza, come autentiche pioniere, si volsero ventiquattro donne
napoletane, istitutrici residenti di due Reali Educandati (l’uno sito in piazza
Miracoli e l’altro in largo San Marcellino a Napoli), che tra il dicembre 1861
e il gennaio 1862 rifiutarono di giurare fedeltà al re usurpatore Vittorio
Emanuele II, in difesa della loro libertà di coscienza e del Regno delle Due
Sicilie, sottoposto ad un’occupazione repressiva mascherata da “unità
d’Italia”.
Quelle scomode educatrici dissidenti, pagarono a caro prezzo la loro lotta:
furono espulse, cioè persero simultaneamente casa e lavoro. A fronte
dell’espulsione, esse praticarono anche la noncollaborazione, rifiutando di
allontanarsi spontaneamente dalla struttura dove da tempo vivevano e svolgevano
la loro attività educativa: dovettero portarle via con la forza. Su di esse
scese il silenzio, imposto dal regime italiano, e persino dei luoghi della loro
sepoltura si andò perdendo la memoria.
Cosa hanno fatto dopo l’espulsione?
Mi sono messo alla ricerca della loro storia e della loro tomba.
Dopo un primo ritrovamento (raccontato qui in "La tomba delle maestrine coraggiose") ho individuato un secondo sepolcro: quello di Maria Bianca Dusmet de Beaulieux, che fu una grande figura di educatrice, patriota duosiciliana, resistente nonviolenta e mistica.
Dopo un primo ritrovamento (raccontato qui in "La tomba delle maestrine coraggiose") ho individuato un secondo sepolcro: quello di Maria Bianca Dusmet de Beaulieux, che fu una grande figura di educatrice, patriota duosiciliana, resistente nonviolenta e mistica.
Quando Bianca, nata a Napoli il 18 luglio 1828, fu espulsa dal Real Educandato di piazza Miracoli aveva 34 anni, lì viveva da ventinove anni, cioè da quando, bambina, vi era entrata a cinque anni, anche in deroga all’età minima di sette generalmente prevista per l’ammissione. Questo semplice dato relativo alla lunga permanenza nell’educandato, già ci aiuta a capire la violenza perpetrata contro questa donna –e non solo lei- con l’epurazione voluta dal regime dei Savoia. Repressione attuata nel settore dell’istruzione da personaggi quali il ministro Francesco De Sanctis e il suo delegato locale Luigi Settembrini, protagonisti negativi di quei giorni senz’anima: era iniziata la colonizzazione della nostra terra, che oggi continua nella desertificazione sociale, economica e identitaria. Bianca, dunque, era passata senza soluzione di continuità dallo status di educanda (alunna convittrice, fino ai 18 anni) a maestrina, termine un po’ svalutante con cui venivano sbrigativamente indicate le istitutrici che, a differenza dei docenti, vivevano insieme con le bambine e adolescenti e ne curavano l’educazione extrascolastica. La nomina, in considerazione del suo talento e delle attitudini spirituali, era giunta con decreto di Ferdinando II.
Albero genealogico della famiglia Dusmet (dettaglio). Archivio di Stato di Napoli, Fondo privati, coll. st. 154. |
La famiglia di Bianca, Dusmet di Beaulieux e Dusmet de Smours, aveva origine nelle Fiandre e alcuni suoi
membri si erano stabiliti nel Regno delle Due Sicilie. Qui nacquero, tra
l’altro, il Beato Giuseppe Benedetto Dusmet, che fu cardinale e vescovo di
Catania, ed i genitori di Bianca: marchese Antonio Dusmet di Beaulieux, nato a
Messina il 12 maggio 1805, e Angela Dusmet de Smours nata a Milazzo il 3 agosto
1804.
Sulla figura del papà di Bianca, Antonio Dusmet colonnello della Guardia
Reale, è necessario soffermarsi. Egli ricevette consistenti offerte di denaro
affinché passasse a combattere dalla parte di Garibaldi. Questa operazione di
corruzione, che in altri casi ebbe un drammatico successo, con ricadute
decisive sulle sorti della nostra terra, con Antonio Dusmet fallì miseramente
grazie alla sua nobiltà d’animo. Il padre e uno dei fratelli di Bianca, sergente Francesco,
parteciparono alla battaglia in difesa di Reggio Calabria il 21 agosto 1860. Il
colonnello Antonio Dusmet, che comandava le truppe del 14° Reggimento presenti
in città, poté constatare ben presto che non tutti erano leali come lui, ma vi
erano traditori che puntavano a perdere lo scontro con i garibaldini: tra
questi il generale Domenico Gallotti, suo diretto superiore.
Il padre e il fratello di Bianca furono feriti nel corso della battaglia e
morirono entrambi a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Garibaldi fece
visita in ospedale ad Antonio Dusmet, ottenendo un ulteriore rifiuto di passare
dalla sua parte; a questo punto l’invasore non poté che ammirarne la fedeltà e
gli disse: “Se il Re di Napoli avesse
avuto non più di dieci ufficiali come voi, non avrebbe perduto il Regno”.
Bianca Dusmet era, dunque, “figlia d’arte”: leale, coerente e fedele, il padre, nella
difesa del nostro Paese dall'aggressore; leale, coerente e fedele lei, fino a
farsi licenziare e gettare in strada con il suo rifiuto di assoggettarsi
all’usurpatore straniero Vittorio Emanuele.
La vita di Bianca da quel momento fu caratterizzata da tre elementi:
proseguire la sua missione di educatrice delle fanciulle, approfondire il suo
percorso spirituale e affrontare con fortezza le asperità della vita, in
particolare una salute assai cagionevole che le procurò lunghi anni di
sofferenze fino alla paralisi.
Chiesa di Santa Maria Donnalbina. |
Espulsa dall’educandato di piazza Miracoli il 7 gennaio 1862,
riprese a lavorare, già a partire dal successivo mese di luglio, come istitutrice nel monastero di Donnalbina a Napoli, dove c'era un educandato non statale, diventandone poi direttrice. La sua vita
a Donnalbina non fu facile: sia per le condizioni di salute che per alcune manifestazioni di ostilità che subì
dalle religiose; in sua difesa dovette intervenire
persino l’Arcivescovo di Napoli, il Cardinale Sisto Riario Sforza. Dal 1875
iniziò il periodo più difficile per lei: affrontò la morte della madre, fu costretta definitivamente a letto, per
anni non riuscì neppure a nutrirsi agevolmente, ma visse con grande forza
d’animo e afflato spirituale questa lunghissima fase dolorosa. Il monastero di
Donnalbina, tuttavia, venne soppresso per decreto reale dei Savoia e chiuso il
5 gennaio 1887, Bianca fu dunque trasferita, gravemente inferma, due giorni
prima della chiusura, nel Real Conservatorio di Santa Fede a Napoli, dove visse
gli ultimi quattro mesi della sua vita.
La Dusmet intrattenne una consistente corrispondenza con il suo Padre spirituale,
il domenicano Emilio De Caria, testimonianza della profonda vita spirituale che
la vide anche aderire al Terzo Ordine Domenicano, con il nome di suor Caterina,
ispirandosi a Santa Caterina da Siena. Padre Emilio De Caria, ironia della
storia, era stato sostenitore della famigerata spedizione
garibaldina contro l’indipendenza del Regno delle Due
Sicilie; egli, infatti, nel
luglio del 1860 aveva contribuito ad una colletta a suo supporto. Fu
anche tra i primi collaboratori della rivista “Il Rosario e la Nuova Pompei”, fondata dal Beato Bartolo Longo nel
1884.
La tomba di Giovanni Paisiello. |
Il monastero di Donnalbina ha una storia antichissima, sorse nell’VIII secolo
per le monache basiliane e poi passò alle monache benedettine; al tempo di
Bianca vi erano suore salesiane. Alla fine dell’800 il monastero passò alla
Confraternita dell’Immacolata del Terzo Ordine di San Francesco e, infine, dagli
anni quaranta dello scorso secolo vi ha sede la Congregazione di Don Orione,
che svolge attività di assistenza con disabili gravi. La chiesa, sita
nell’omonima via, è tuttora aperta al culto e, tra l’altro, in essa vi è la
tomba del grande compositore Giovanni Paisiello, autore anche dell’Inno Nazionale
delle Due Sicilie.
Real Conservatorio di Santa Fede. |
A Santa Fede il 6 maggio 1887 Maria Bianca Dusmet morì. Il regime osteggiò
questa “maestrina coraggiosa” anche dopo la morte: l’autorità pubblica impose
l’immediata sepoltura, contrariamente alla richiesta di collocare la salma in un
luogo di osservazione o, almeno, di dar tempo che un medico la esaminasse per un
fenomeno insolito che si era prodotto. Su questa maestrina nonviolenta, fedele
alla sua terra duosiciliana, come sulle altre colleghe dissidenti, doveva scendere
il velo dell’oblio.
La tomba della madre di Bianca. |
Possiamo dire che Bianca imparò dal padre la lealtà e dalla madre la resilienza, cioè la capacità di affrontare eventi difficili, dolorosi, senza spezzarsi, senza lasciarsi travolgere, e al tempo stesso senza rispondere al male col male, ma lottando per sconfiggerlo col bene: tutto questo è nonviolenza.
La tomba di padre Emilio De Caria. |
Sul sepolcro di quest'ultima, la lapide riporta la dedica della sorella Lucrezia Castrone, che da bambina aveva condiviso con lei l’esperienza nel Real Educandato ai Miracoli:
a bianca dusmet
vissuta per prodigio
in lunghi anni di martirio
fino al 6 maggio 1887
questa lapide poneva in
agosto 1888
la germana lucrezia cast.
Lucrezia Dusmet, sposata con Giuseppe Castrone, morirà otto anni dopo; è sepolta, congiuntamente al marito, nel Cimitero di Poggioreale, nella cappella della Real Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori in San Ferdinando di Palazzo, non molto lontano dall'amata sorella.
L'accesso all'ipogeo della
Real Compagnia ed Arciconfraternita
de' Bianchi dello Spirito Santo.
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