Uno degli
edifici che punteggiano l’estesa superficie del Real Bosco di Capodimonte a Napoli è il cellaio, sito
accanto alla piccola chiesa dedicata a San
Gennaro. La parola cellaio
deriva da “celare” e questo è, infatti, il luogo in cui erano custoditi beni quali prodotti agricoli, vino, legna: insomma un magazzino.
Lo spazio oggi è adibito a sala conferenze, ma sotto le sue volte si trovano antichi attrezzi agricoli. Ebbene su una delle
pareti c’è un’epigrafe, purtroppo danneggiata e poco leggibile, che ha qualcosa da raccontarci. Diciamo subito che il
cattivo stato di conservazione e la collocazione renderebbero necessario un
esame ravvicinato accurato, per rilevarne e tradurre il testo. Basandomi su
foto (e non di buona qualità) che ho scattato in condizioni di luce non
favorevoli, è stato possibile cogliere solo alcuni generali rimandi
significativi.
Nell’iscrizione
spiccano tre nomi e un anno: Francesco I, Antonio Ruffo, Luigi
Bardet di Villanova e il 1826.
La chiesa di San Gennaro. |
Francesco I, padre del
più famoso Ferdinando II, è forse il meno conosciuto e citato tra i Borbone. Egli istituì, con Legge del 28 settembre
1829, un Ordine cavalleresco “diretto
unicamente a compensare il merito civile e che porterà il nome di Real Ordine di Francesco Primo”
e, con decreto di pari data, stabilì che i due reali ordini di S. Giorgio della
Riunione e di Francesco I fossero eguali in dignità ed in prerogative. Insomma volle
che i meriti civili avessero pari stima di quelli militari: un’innovazione di significativo
spessore culturale. Sua fu altresì l’istituzione delle medaglie d’oro e d’argento
al valor civile (1827). Durante il suo regno, durato cinque anni, furono
assunti numerosi provvedimenti anche di rilievo sociale e culturale, ricordiamo
ad esempio: la tutela dei minori negli istituti di pubblica beneficenza; disposizioni
varie in tema di diritti dei carcerati; la tutela della proprietà intellettuale
degli autori; l’aumento del numero degli interpreti dei papiri ercolanesi.
Particolare attenzione ebbe verso il tema della violenza: decretò la pena per la
detenzione in casa di armi vietate senza licenza e il divieto di libertà
provvisoria, durante il giudizio, ai detentori di armi proibite; sanzionò le
ingiurie e le violenze commesse dai militari di sentinella.
L’incipit annuncia che ciò che segue è posto sotto l’impulso e l’auspicio di Antonio
Ruffo. Costui, nato a Messina nel 1778, era barone di Guidomandri e principe di
Scaletta. Queste due località, nei dintorni di Messina, vennero accorpate negli
anni venti del ‘900 e dettero origine all’odierno comune di Scaletta Zanclea. La
famiglia Ruffo era originaria della Calabria, ma nel ‘600 dette inizio a un
nuovo ramo (i Ruffo di Scaletta, appunto) con
l’acquisto del feudo messinese. Antonio, quando era Capo del Governo
Luigi de’ Medici d’Ottajano, fu Ministro Segretario di Stato della Guerra e Marina
fino al 13 luglio 1830; morì nel 1846.
Il terzo personaggio
dell’epigrafe è Luigi Bardet di Villanova, ingegnere militare e Direttore
generale del Real corpo del Genio. Il Bardet, con decreto di Ferdinando I del
23 aprile 1819, era diventato Cavaliere Commendatore del Real Ordine Militare Cavalleresco
di San Giorgio della Riunione, istituito dallo stesso Ferdinando I con Legge
del 1 gennaio del medesimo anno. Delle sue opere ricordiamo, ad esempio, la
progettazione di quartieri militari per le truppe di cavalleria a
Marcianise (1819), la realizzazione del ponte che congiungeva il Maschio
Angioino ai giardini del Palazzo Reale (1823), un’importante attività
topografica in Terra di Lavoro. Era figlio d’arte, infatti il padre, Pierre
Bardet de Villeneuve, era ingegnere a Parigi.
Ritroviamo questi tre nomi riuniti, nell’Osservatore
Peloritano: rivista bisettimanale pubblicata a Messina dal 1797 al 1804 e dal
1807 al 1847. Il numero 21 del 1826, a pag. 4, riporta
il decreto del 25 febbraio 1826, l’anno dell’epigrafe del cellaio, con cui Francesco
I concesse il grado di Tenente generale al Maresciallo da campo Luigi Bardet,
per distinti servizi e meriti, su proposta del Ministro Ruffo, Principe della Scaletta.
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Il decreto è stato digitalizzato da Google.
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