C’è una piccola antica chiesa a Napoli, dedicata a Sant’Antonio, che passa quasi del tutto inosservata se non la si
conosce e le si presta attenzione. Si trova in via Salvator Rosa, inglobata in
un palazzo, ed è costantemente chiusa.
Forse perché di modesto valore
artistico, è ignorata dalle guide della città anche coeve; tuttavia, partendo
da un’epigrafe sulla facciata, si può cogliere un poco la storia che
essa racconta.
La cappella fu edificata nella prima metà
del Settecento, pochi anni dopo che Carlo di Borbone era entrato in città: con lui Napoli cresceva nel suo
ruolo di grande capitale di uno Stato indipendente. Carlo scelse di non
assumere il numerale VII che gli sarebbe spettato sul trono di Napoli, proprio
per evidenziare la nascita di un nuovo Regno, libero da qualsiasi influenza o
dominazione straniera.
L'epigrafe sulla facciata della cappella. |
Artefice della
pia iniziativa fu Antonio Valentini, proprietario del terreno che si affacciava
sull’Infrascata, antico nome della via che dal centro risaliva verso l’Olimpiano:
la collina del Vomero. Egli volle dedicare la chiesa al suo patrono
Sant’Antonio, come un corpo unico con la propria abitazione soprastante. Ancora
oggi si vede la campana affacciarsi da una nicchia al primo piano, singolarmente
paralizzata nell’atto di battere l’ultimo rintocco della sua vita.
La realizzazione
avvenne per sua esclusiva iniziativa, con diritto di patronato, e con decreto
del 1739 l’Arcivescovo Cardinale Giuseppe Spinelli impose l’obbligo di tre celebrazioni
alla settimana a carico del Valentini. Mons. Spinelli fu attivo in diocesi
soprattutto sul piano delle riforme, promuovendo in particolare una migliore
formazione del clero; con lui collaborò una personalità del calibro di S.
Alfonso Maria de’ Liguori. Si dimise il 9 aprile 1753, perché i rapporti con i
fedeli, difesi da Re Carlo, si erano fatti tesi: Mons. Spinelli, infatti, voleva
introdurre il Sant’Uffizio a Napoli. Papa Benedetto XIV lo nominò Amministratore
Apostolico della Diocesi, funzione che mantenne fino all’8 febbraio 1754: l’11
dello stesso mese iniziò il servizio episcopale a Napoli il suo successore.
Il Card. Giuseppe Spinelli in un dipinto inventariato dalla Diocesi di Aversa. |
Antonio
Valentini lasciò erede il nipote Francesco, figlio del fratello Diego, il quale
si prese cura della chiesetta e fece apporre in memoria del pio e generoso zio l’epigrafe
da cui siamo partiti. Era il mese di ottobre del 1782, Napoli aveva già fatto
un grande tratto di strada nel suo sviluppo, tanto che, l’anno precedente, Ferdinando
IV, succeduto a Carlo nel 1759, aveva commissionato al geografo Giovanni Antonio
Rizzi Zannoni l’Atlante Geografico del Regno di Napoli: nasceva la cartografia moderna.
L’Arcivescovo, come detto, non era più Spinelli: dopo di lui si erano
avvicendati il Cardinale Antonino Sersale e poi il monaco benedettino Serafino
Filangieri. Ma quest’ultimo morì un mese prima dell’epigrafe e la sede
diocesana era in quel momento vacante. Bisognerà aspettare fino al 16 dicembre
1782 per il nuovo Arcivescovo: il Cardinale Giuseppe Maria Capece Zurlo che
Ferdinando IV insignì della Gran Croce dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio.
Sotto il fabbricato si estende, come largamente accade nel centro di Napoli, un'antica cava di tufo, forse estratto proprio per edificare il palazzo e la cappella. L'ambiente, collegato a gallerie che arrivano fin verso la distante piazza Municipio, fu poi riutilizzato come cisterna per la raccolta di acque piovane. A metà degli anni Novanta, in questi ambienti tufacei sotterranei a temperatura costante fu realizzata una cantina, dove un'azienda vinicola produceva vini D.O.C.G., D.O.C. e I.G.T., fino alla chiusura nel corso dell'emergenza Covid-19 del 2020.
Frontespizio delle regole del seminario emanate da Spinelli il 3 novembre 1744. |
Ho sempre visto con curiosità quella campana che spuntava tra i piani del palazzo.
RispondiEliminaOra ho una risposta.
Grazie
Ovviamente complimenti per il suo prezioso lavoro di ricerca
RispondiEliminaGrazie a lei per l'attenzione.
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