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Archivio di Stato di Napoli, Atrio dei Marmi. |
È il 1868 e per la seconda volta, dopo l’edizione del 1863 [1], si organizza una raccolta popolare di firme a favore di Francesco II, perche faccia «giungere il nostro unanime voto alle Maestà Sovrane ed alle Adunanze rappresentative delle grandi Potenze europee, dalla Legge internazionale chiamate a definire i dissidii intestini che lacerano la misera Italia, chiamate a liberare il popolo delle Due Sicilie dal tirannico giogo che l’opprime (…)». Insomma allo stesso tempo, atto di riconoscimento e solidarietà verso il Re in esilio e appello alla comunità internazionale perché cessi l’annessione col suo carico oppressivo.
Anche per comprendere la partecipazione a questa seconda iniziativa, occorre tener presente i limitati mezzi disponibili all’epoca per propagandarla e il rischio connesso alla repressione dell’opposizione al regime. Dall’esame delle carte, emerge un ruolo non secondario nella raccolta delle firme e nell’autenticazione delle stesse da parte dei parroci. Di essi si riscontrano alcuni attestati espliciti, con tanto di nome e timbro parrocchiale, nei quali si manifesta l’auspicio delle comunità loro affidate del ritorno di Francesco II. È bene non sottovalutare queste attestazioni, perché essi si esponevano non poco sottoscrivendole, in un tempo in cui la Chiesa delle ex Due Sicilie subiva una pesante ostilità da parte del “nuovo ordine di cose”. Quei sacerdoti erano tutti immediatamente identificabili e perseguibili e c’è persino il Padre Generale dei Minimi che appone firma e sigillo. Alcuni fogli di raccolta recano l’autenticazione di un notaio, circostanza non presente nella prima edizione dell’iniziativa. Un altro elemento caratterizzante, che rappresenta un passo in avanti rispetto alla tornata del 1863, è la presenza in molti casi di moduli prestampati da riempire: uno sforzo organizzativo apprezzabile se – ancora una volta – si riflette sul fatto che il regime poteva vedere in essa un’attività “sobillatrice” di malcontento.
Le firme provengono non solo dalla ex capitale ma da numerosi e vari territori, tra cui spiccano in particolare per la partecipazione la Terra di Lavoro e l’Abruzzo. Ci sono anche piccoli comuni che si impegnano, come ad esempio San Pietro Apostolo e Amato in provincia di Catanzaro. Spesso dei sottoscrittori è indicata l’attività e – è bene rimarcarlo –si tratta di persone provenienti dai più disparati ambienti: davvero una partecipazione ampia e trasversale. Ecco qualche esempio sparso: pescatore, barbiere, avvocato, cantore della cattedrale, massaro, bettoliere, negoziante, maestro, farmacista, guardia forestale, notaro, canonico, burolista, caffettiere, proprietario, impiegato civile, soldato, calligrafo, gioielliere.
Firma il Sindaco del «Villaggio di Torone», facendosi garante dei “crocesegnati”, quelli che non sanno firmare e mettono una croce. Sul modulo c’è persino il bollo - con lo stemma sabaudo e il nome di Vittorio Emanuele II - la cui mancanza, peraltro, è esplicitamente giustificata insieme all’autenticazione delle firme in fogli di altri territori.
Interessanti risultano i contenuti delle varie dichiarazioni che vengono sottoscritte. Ecco alcune espressioni particolarmente significative [2].
«Una turba di predoni nel 1860 si scagliava furibonda sopra questo Regno delle Due Sicilie, un giorno sì prospero, ad all’ombra di un violento e bugiardo plebiscito, che forma la derisione d’Europa, proclamava l’unità che ha generato discordie, la libertà che ha prodotte catene, la ricchezza del prestito forzoso, della carta-moneta, della bancarotta, della miseria» (così gli abitanti di L’Aquila e provincia).
«La popolazione tutta della mia ottina ha serbato fin dal 1860 e serba tuttora la più sincera attaccamento al loro legittimo Re Francesco Secondo, e perciò anela al di lui ritorno sul trono, col giuramento di versare il proprio sangue» (Arciprete del SS.mo Rosario di Squille, Diocesi di Capua).
Accanto alle espressioni di attaccamento a Papa Pio IX, gli abitanti di Casalduni, località notoriamente ferita dalla repressione, esprimono l’auspicio «pel presto ritorno del loro legittimo Sovrano Francesco, acciò rimetta la calma nei popoli fedelmente attaccati alla sua Corona» (Vicario Curato della Chiesa di Casalduni). Così anche la popolazione di Pontelandolfo, ancor più vittima dello stragismo post annessione, esprime il proprio attaccamento a Francesco II «fin dal 1860» e il desiderio di «vederlo seduto sul trono dei suoi maggiori, con spargere il proprio sangue qualora le circostanze lo richiedessero» (Arciprete di Pontelandolfo)
«Chi più di me può attestare in faccia all’Italia tutta che la popolazione della mia ottina è prontissima a spargere il sangue per veder ritornato il proprio Sovrano Francesco Secondo sul trono dei suoi antenati» (Parroco di Ponte)
Quante sottoscrizioni furono raccolte? Effettuando una stima del tutto sommaria [3] si è in presenza di decine e decine di migliaia di adesioni, in numero addirittura superiore all’iniziativa del 1863 che già era stata un successo. Se si pensa alla difficoltà odierna a ottenere così tante firme con una popolazione molto più ampia, la possibilità di aderire su internet e la propaganda sui social, risulta evidente e commovente tanta dedizione. All’epoca per firmare - in un clima di ostilità - bisognava intingere il pennino nel calamaio e con quel gesto manifestare la propria adesione alla verità e alla giustizia. Fa riflettere che questo evento sia stato completamente rimosso dalla memoria “italiana”.
Alcune considerazioni conclusive.
1) Siamo davanti ad un atto politico coraggioso che emerge chiaramente in alcune affermazioni del tipo: «Affermiamo di non voler l’Unificazione italiana. Dichiariamo di aborrire dalla dominazione Sabauda. Ad una voce chiediamo di ritornare alla nostra Autonomia». E significative sono le espressioni di continuità della lealtà «fin dal 1860», come a rimarcare un legame che nessuna violenza ideologica o delle armi, nessun dolore, nessuna minaccia, ha potuto spezzare. Anche rimarchevole il richiamo – che talora diventa giuramento – di spargere il proprio sangue per la causa.
2) Questo passo deciso del popolo è spesso accompagnato e sostenuto dalla Chiesa. Certamente entra in gioco il pericolo per lo Stato Pontificio e uno stringersi solidale intorno al Papa. Ma comunque si tratta della testimonianza di una Chiesa che cammina insieme alla gente ferita da otto anni di emarginazione: “per amore del mio popolo non tacerò” è il messaggio di fede e di vita.
3) Le attestazioni di affetto devono avere sortito anche un conforto a Francesco II: in esilio e colpito da una propaganda falsa e sciagurata. A proposito della sua abnegazione, in una delle sottoscrizioni se ne sottolinea il «generoso oblio», rimarcando il fatto che per spegnere «ogni odio di parte» egli aveva accettato di vivere in un umile anonimato. Anche questa è la grandezza di Francesco ed è parte nodale della sua santità.
4) Questa raccolta firme fu un’ulteriore interessante azione nonviolenta che, da un lato, denunciò la condizione di oppressione di un Paese cui era stata strappata l’indipendenza con una guerra di aggressione e, dall’altro, chiedeva alle Potenze europee di fare quello che avevano omesso nel 1860: intervenire per far cessare gli abusi. Dalla rivolta dei calamai una lezione attualissima.
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[1] Per tale evento si può vedere su questo blog: “Raccolta firme”.
[2] Nelle trascrizioni sono stati eliminati, per chiarezza, eventuali elementi ortografici superati o erronei.
[3] Volendo, è possibile contare una ad una le sottoscrizioni. Tutta la documentazione, compresa quella in foto, è conservata nell’Archivio di Stato di Napoli, Fondo Archivio Borbone, sezione Carte del Re Francesco II da Gaeta all’esilio, b. 1617.
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