Visitare la sezione epigrafica del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN), recentemente risistemata ed aperta al pubblico, è come fare un viaggio alle radici dell’identità del popolo duosiciliano, un percorso in quel diffuso mondo che si sviluppò, a partire dall’VIII sec. a. C., lungo le coste mediterranee e che sarebbe stato, nei secoli successivi, romano politicamente ma sempre greco culturalmente, tanto che a Napoli la lingua greca resistette almeno fino al III sec. d. C., senza piegarsi al latino.
Le sale che si susseguono (un esempio nella foto in alto) in questo segmento dell'immenso complesso, uno dei più grandi musei archeologici al mondo, offrono numerosi ed interessantissimi reperti, alcuni davvero di eccezionale rilievo documentale. Tanto per fare due esempi: il Menologium rusticum, il calendario agricolo romano su quattro facce, che è uno dei due unici esemplari al mondo pervenuti fino a noi; il Feriale campano, del 387 d. C., un’ordinanza incisa su un piano di mensa o ara, contenente il calendario municipale con la data e il nome delle feste da celebrarsi durante l’anno.
Feriale campano |
Ma non sono solo il greco o il latino ad avere rappresentanza: ritroviamo, infatti, materiale epigrafico in osco, scritto da destra a sinistra, paleosabellico, vestino. Così come sono rappresentate varie aree dell’odierno Sud. In tal senso, ad esempio: il Decreto degli Agrigentini del II-I sec. a. C.; il Decreto dei Reggini (stesso periodo); l’iscrizione su un Caduceo di Brindisi risalente al V sec. a. C.; un atto di donazione in alfabeto acheo proveniente da Caulonia (Reggio Calabria), inciso su lamina di bronzo tra il 500 e il 475 a. C.; una piccola piramide in terracotta con dedica in versi ad Eracle, del VI sec. a. C., proveniente dal materano, così come le grandi Tavole di Eraclea, del IV-III sec. a. C.; la Lex Municipi Tarentini, in bronzo, con lo statuto municipale di Taranto del I sec. a. C., la cui parte conservatasi contiene, tra l’altro, sanzioni da applicarsi in caso di peculato e norme sull’amministrazione cittadina.
Lingua osca |
Decreto degli Agrigentini |
Tavole di Eraclea |
Insomma, sono solo pochi esempi, ma la visita permette di perdersi in tanta abbondanza di reperti in marmo, arenaria, bronzo, oro, ecc. dei generi più vari, ma tutti accomunati dalla scrittura. Ciascuno potrà incantarsi davanti ad uno o più di essi, viaggiare nel tempo grazie a queste testimonianze che raccontano le nostre radici.
Lex Municipi Tarentini |
Frammento di Catalogo dei vincitori dei Giochi Isolimpici |
Una menzione particolare voglio riservarla ad alcuni ritrovamenti, occorsi durante lo scavo della stazione Duomo della linea 1 della metropolitana di Napoli. In quella zona fu rinvenuto nel 2004 il tempio dei Giochi Isolimpici, che si svolgevano in città ogni quattro anni: istituiti nell'anno 2 a. C., la prima edizione si tenne di fatto nell'anno 2 d. C., l'ultima nel 393, allorché l'imperatore Teodosio pose fine all'unisono a tutte le manifestazioni agonistiche, compresi i Giochi Olimpici, in quanto legate a culti pagani. Essi prevedevano varie discipline sportive (corsa, salto, lancio del giavellotto e del disco, pugilato, lotta, gare a cavallo e con i carri, ecc.), ma anche –cosa che li differenziava da quelli di Olimpia- di poesia e canto. E, dunque, nel museo ecco parti di epigrafi (una di esse nella foto a lato) contenenti il Catalogo dei vincitori dei giochi. Così sappiamo, ad esempio, che nell’anno 178 o 182 o 186, nella gara di poesia lirica vinse Graniano Fania; nel concorso ippico col carro a due primeggiò Timandro, figlio di Epercomeno; Ammonio figlio di Apollonio di Alessandria trionfò nel pancrazio (un misto tra pugilato e lotta). Atleti provenienti da tutto il mondo mediterraneo antico: Nicomedia, Sardi, Atene...
La nostra terra era ricca di cultura, di sport, di produzioni e di commercio. Una mappa nel museo illustra le rotte commerciali che mettevano in comunicazione l’antico Egitto con le città della Campania: c’era una linea diretta, ad esempio, tra Alessandria e Pozzuoli. Ho pensato che all’epoca non esisteva il canale di Suez, eppure da quell’area era fiorente lo scambio con la nostra terra. Ancor più potrebbe esserlo oggi che il canale esiste ed, anzi, è stato recentemente ampliato. Ma lo Stato italiano, che colonizza e discrimina quello che è diventato semplicemente “il Sud”, ha già disposto che la nuova via della seta, che dalla Cina attraversa il canale e si dirige verso l’Occidente, snobbi i porti di Gioia Tauro o di Napoli o di Taranto o altri ancora, e tiri dritto verso Nord, fino a Venezia, Trieste, Genova: i tre porti prescelti. Perché? Semplice: bisogna che continui l’opera di demolizione della nostra antica terra, iniziata nel 1860.
Ma anche la nostra lotta per la liberazione continua, con quella forza d’animo che probabilmente animò Lisimaco, proveniente da Sparta, che un’epigrafe di duemila anni fa ancora testimonia come vincitore della gara di lotta: a Neapolis, durante i Giochi Isolimpici.
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