12/06/18

Lo strano caso di Don Diego Quiros


Se vi trovate a passare per piazza Dante, soffermatevi davanti al palazzo che ospitava fino a qualche tempo fa la Direzione dei servizi demografici del Comune di Napoli (c’è ancora l’iscrizione), che altro non è che il seicentesco convento dei Padri Domenicani annesso alla contigua chiesa di Santa Maria di Caravaggio, oggi Parrocchia di San Domenico Soriano.


Al fondo del lungo androne vi è un ovale con busto, adorno di stemma e decorazioni marmoree, con un’epigrafe sottostante che loda le virtù del protagonista. Si tratta di Don Diego Quiros de Maiorca, figlio di Don Francesco Bernardo Quiros, Regio Consigliere, e di Donna Beatrice Maiorca: una nobile famiglia di origine spagnola trapiantatasi a Napoli. I genitori di Donna Beatrice, Don Ferdinando Maiorca e Donna Porzia Coniglia, hanno sepolcri monumentali, opera di Michelangelo Naccherino, nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli in piazza Municipio.
Porzia Coniglia
Ferdinando Maiorca
La nostra storia inizia allorché per la sorella di Don Diego, Donna Maria Bernardo Quiros, si prospettò il matrimonio con il Regio Consigliere Don Annibale Moles. La madre, Beatrice, ormai vedova, promise una dote di 10.000 ducati e il fratello si obbligò in solido all'estinzione della somma. La dote andava così corrisposta: 4.500 ducati subito; i restanti 5.500 in due parti, l’una di 3.000 ducati al momento delle nozze, i restanti 2.500 alla morte di Donna Beatrice.
Ma Don Diego neppure immaginava quello che sarebbe successo!
Il matrimonio, dunque, si celebra nel 1626.
Il punto in cui si pagava la gabella sul vino (salita Moiariello).
Beatrice, la madre di Maria, muore nel novembre 1645. Annibale chiede, dunque, al cognato Diego di pagare i ducati restanti della dote. Diego decide di darglieli girandogli le entrate della “gabella del vino al minuto” fino al soddisfacimento del credito. Annibale accetta e si intesta l’entrata della gabella. Ma poiché anche la quota di 3.000 ducati non era stata interamente soddisfatta dal giorno del matrimonio fino al dicembre del 1645 (anno in cui viene redatto un impegno innanzi al notaio Domenico de Masi, il giorno 20 dicembre) c’era un residuo di 1850 ducati a cui aggiungere 100 ducati, rimanenza per alcuni gioielli ugualmente promessi in dote, e ancora 50 ducati vantati da Annibale. Insomma 2.000 ducati che Diego si impegna a corrispondere nella misura di 120 all’anno con interessi al 6%. Due anni dopo scoppia la rivolta di Masaniello contro il sistema delle gabelle!
Intanto Annibale muore.
Il 28 gennaio 1664, l’erede di Annibale Moles e Maria Quiros, Don Rodrigo Moles, ha l’idea di cedere il credito relativo alla dote della madre, in dote alla propria sorella, Donna Elena Moles, che deve sposare Don Antonio Testa. Così Don Diego paga i 120 ducati annui a Donna Elena, fino al 31 agosto 1669. L’ultima rata è di 60 ducati, perché maturata a giugno dello stesso anno come estinzione della dote stessa.
Ma Diego muore il 27 marzo 1675 e lascia tutti i suoi beni ai Padri Domenicani che, proprio grazie a questo generosissimo lascito, completano la costruzione del convento dell’attuale piazza Dante. Sono loro, per gratitudine, a far realizzare il monumento che avete visto.
Donna Elena, venuto meno quel versamento annuo, fa causa alla madre Maria, sorella di Diego, chiedendo ancora i ducati della dote e gli interessi.
Ma Elena muore mentre sua madre Maria è ancora in vita. Quest’ultima allora, alla quale evidentemente non va giù che il fratello abbia lasciato tutto ai Domenicani, nel 1685 fa causa al "Monastero" (così viene chiamato negli atti giudiziari il convento dell'Ordine dei Predicatori), relativamente ai 5.500 ducati, parte della dote promessa, che non erano stati svincolati dai beni del fratello destinati al monastero stesso.
Nel 1697, tuttavia, oltre venti anni dopo la morte di Don Diego, Maria Quiros muore.
Si arriva al ‘700 inoltrato e il monastero viene citato in giudizio dai figli di Elena, i quali esigono i ducati della dote della nonna. Si tratta di tre fratelli: Don Matteo Testa, Don Andrea Testa, Don Gennaro Testa. I tre fratelli, nel 1768 e nel 1777, intentano  nuovamente  la causa già mossa nel 1685 da Maria Quiros e ne aggiungono altre due, di cui una specificamente relativa ai famosi 2.000 ducati dell’antica dote.
Il monumento a Don Diego Quiros de Maiorca.
Due fratelli su tre, però, muoiono e il superstite, Gennaro dei Conti Testa Piccolomini, nel 1791 di nuovo chiede il giudizio sulla dote di 2.000 ducati, con gli interessi maturati a partire dal 1645, anno in cui era morta Donna Beatrice, la quale si era impegnata con Don Diego a versare la somma: si tratta di più di un secolo di interessi.
Del resto, il 6 luglio dello stesso anno, l’unica figlia di Gennaro, Teresa Testa Piccolomini, si sposava con Gaetano Caracciolo del Sole, 4° Duca di Venosa e Conte di Sant’Angelo, e bisognava pagare la dote: quella della bisnonna cadeva proprio a fagiolo!
Il 4 luglio 1792 Gennaro ha sentenza favorevole e il monastero, anche se in misura minore rispetto a quanto richiesto, è condannato a pagare.
Il monastero naturalmente ricorre. Ma intanto Don Gennaro muore.
Nel ricorso si costituisce la figlia, unica erede di Don Gennaro, Donna Teresa, che esige il credito risalente alla promessa della trisavola: la dote nuziale della sorella di Don Diego, vissuta nel secolo precedente.
Due anni dopo arriva il colpo di scena.
Il giudizio di “tre Signori Consiglieri Aggiunti di Regal ordine”, il 9 agosto del 1794 dà ragione al monastero.
La sentenza:
1) dichiara soddisfatto il credito di 2.000 ducati, anzi riconoscendo un versamento maggiore del dovuto;
2) dichiara altresì prescritti gli interessi;
3) condanna Donna Teresa Testa Piccolomini a restituire 760 ducati eccedenti e a risarcire al monastero tutte le spese sostenute.
I giudici concludono la sentenza stigmatizzando la pretesa di Donna Teresa Testa Piccolomini come “la più temeraria, e capricciosa” che si sia mai vista.

Dal matrimonio di Donna Maria Bernardo Quiros alla sentenza che mette la parole fine sulla sua dote sono passati 168 anni. 😄


Frontespizio della sentenza del 9 agosto 1794.

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