Nella chiesa dell’eremo dei Camaldoli a Napoli, due lapidi ci ricordano una generosa e dolorosa storia che coinvolse una madre e il suo amato giovane figlio, vicenda che si intreccia con lo sviluppo di specifiche comunità monastiche nel Regno di Napoli.
Nella terza cappella a destra troviamo due lapidi, una per lato, poste nel Seicento da Giovanna Rossa in memoria del figlio Bernardino Galimio, il cui autore fu un anonimo monaco dell'eremo napoletano. Una di esse è un epigramma latino che ricorda lo stile dell'umanista Antonio Epicuro (1472 - 1555), abruzzese di nascita ma vissuto a Napoli dove fu membro dell'Accademia Pontaniana. In particolare quello da lui composto in memoria di Antonia Gandino.
Tra le due tragiche vicende vi sono alcune similitudini.
Tra le due tragiche vicende vi sono alcune similitudini.
Stemma della Congregazione degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona (Napoli, pavimento del refettorio). |
Ma anche i testi dei due epigrammi in qualche modo sono in assonanza.
Già nei primi versi di quello dettato da Antonio Epicuro per Antonia Gandino si legge lo strazio dei genitori:
unicus ut fieres unica nata dolor
(...)
Il testo continua con accenti di rammarico, attraverso i quali il padre e la madre esprimono il desiderio di voler essere lì nel sepolcro con l'amata figlia, desiderio presente anche, come vedremo più avanti, nell'iscrizione sepolcrale di Bernardino. Questo pregevole monumento funebre è andato distrutto nel bombardamento del 4 agosto 1943 e non è più presente in chiesa; anche l'epitaffio dedicato dal poeta Berardino Rota ad Antonio Epicuro, il cui sepolcro era nei pressi, è andato perduto.
L'epigramma per il giovane Galimio, sciogliendone le abbreviazioni, recita:
Deo Optimo Maximo
unicus heu miseram natus post fata mariti
spes una et pulcher flos super unus erat
ille meis udus lacrymis adolevit amaris
ille mei gemitu pectoris incaluit
dumque halat multaeque ardent in vota puellae
ungue illum carpit mors inopina nurus
i nunc et vitam cura cui sola voluptas
stat dolor et quam mors una beare potis (*)
In essa è raccolto lo strazio per la perdita del figlio, nato quando lei già era vedova. L'unico piacere della vita per la madre, adesso, è sopportare il dolore e unire la propria morte alla sua.
Chiesa dei Camaldoli a Torre del Greco. |
Stemma della Congregazione degli Eremiti Camaldolesi di Monte Corona (Torre del Greco, acquasantiera nella chiesa). |
- 1577 Eremo di Santa Maria dell'Incoronata a Sant'Angelo a Scala (AV);
- 1585 Eremo del SS. Salvatore e Santa Maria in Scala Coeli a Napoli;
- 1602 Eremo di Santa Maria degli Angeli a Visciano (NA);
- 1602 Eremo di San Michele Arcangelo a Torre del Greco (NA);
- 1607 Eremo di Santa Maria in Gerusalemme a Vico Equense (NA);
- 1687 Eremo di Santa Maria dell'Avvocata di Maiori (SA).
La chiesa dell'eremo di Visciano. |
A Napoli, nei pressi di Porta San Gennaro, nel Seicento vi era anche un Hospitio, dove risiedeva il Padre Procuratore generale di questi eremi presenti nel Regno di Napoli, insieme ad alcuni altri monaci, con il compito di procurare tutto ciò di cui avevano bisogno gli eremiti, come anche esercitare le riscossioni e sanare le liti. Qui pernottavano e mangiavano gli eremiti, quando per necessità dovevano recarsi a Napoli.
Occorre poi aggiungere un'infermeria, con chiesetta e masseria, verso l'allora villaggio di Antignano a Napoli (di esse resta solo il nome della zona: Camaldolilli), una grangia ad Angri e una chiesa con foresteria, eretta dai camaldolesi di Napoli nel XVII secolo, a Campagna, entrambi comuni oggi in provincia di Salerno. Il complesso di Campagna, dopo un lungo abbandono, è stato recentemente recuperato da una cooperativa sociale che ne ha fatto una struttura ricettiva e produttiva, in cui si pratica l'agricoltura sociale per favorire l'integrazione di persone svantaggiate.
Il 13 maggio 1771 Papa Clemente XIV creava, con il breve Ea est, un'indipendente Congregazione Napoletana con i sei eremi campani, che ebbe vita temporanea prima di essere nuovamente annessa alla Congregazione di Monte Corona. L'eremo di Napoli passò poi alla Congregazione di Camaldoli (AR) nel 1962, sicché l'ultimo eremo campano abitato da monaci della Congregazione di Monte Corona è stato quello di Visciano.
Va infine precisato che nel Regno vi erano all'epoca anche altre due fondazioni camaldolesi, in Abruzzo: Eremo di San Nicola di Corno ad Isola del Gran Sasso (TE) e Monastero di Sant'Agostino di Basciano (TE). Tuttavia esse non appartenevano alla Congregazione di Monte Corona, bensì a quella di Fonte Avellana e, alla soppressione di quest'ultima nel 1569, a quella di San Michele di Murano.
L'eremo di S. Maria dell'Incoronata in un dipinto di J.P. Hackert (1799). |
Giovanna Rossa fece generose offerte per l’ampliamento dell’eremo di Torre del Greco, costruito grazie ad un consistente lascito di un notabile di Messina, Cesare Zaffarana, sul luogo dove preesisteva una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. Chiesa e terreno erano stati affidati ai camaldolesi in censo enfiteutico dal Cardinale di Napoli Alfonso Gesualdo, con suo decreto del 1 marzo 1602. Gli eremiti vi furono espulsi nel 1866, a seguito delle soppressioni dei monasteri perpetrate dal neonato Regno d’Italia. Il complesso fu acquistato da un privato che abbatté le celle. I camaldolesi non vi fecero mai più ritorno. Oggi sopravvivono la chiesa e parte della foresteria, con una struttura moderna realizzata dai Padri Redentoristi di S. Alfonso Maria de’ Liguori, proprietari dell’area dal 1954.
Interno della chiesa dell'eremo di Napoli. |
Eremo di Vico Equense. |
Eremo di Maiori. |
L'iscrizione a destra, sciolte le abbreviazioni, recita:
Deo Optimo Maximo
bernardino galimio
unico filio itidemque unico
dolori qui cum
immature rapto spem omnem omnemque
vitae dulcedinem
infelix sepelyt seque ipsam modo
per pietatem
liceret libenter sepelysset ioanna
rossa mater
praeter votum superstes ad doloris
perennitatem maestissima
posuit
obiit die primo
mensis ianuarii
Anno Domini mdcxii
Foresteria di Campagna (SA) |
Galimio è cognome di origine calabrese, conosciuto anche nelle forme Galimi e Galami. Dei Galimi di Tropea si conosce l'arma: troncato; nel 1° d’azzurro, alla corona d’oro circondata da cinque stelle di sei raggi dello stesso; nel 2° mareggiato d’azzurro e d’argento, a tre pesci del secondo nuotanti verso sinistra, posti 2 e 1. L'appartenenza a questa famiglia del defunto marito di Giovanna Rossa, del quale si ignora il nome, rappresenta una mera ipotesi ancora da riscontrare.
Stemma dei Galimi di Tropea. |
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* Negli ultimi due versi la madre esorta se stessa (va'...):
A Dio Ottimo Massimo
Ahimé misera unico era dopo la morte del marito
sola speranza e fiore più bello
crebbe cosparso delle mie lacrime amare
si riscaldò sul mio petto gemebondo
e mentre respira e molte fanciulle ardono di amore per lui
la morte nuora inaspettata lo ghermisce con il suo artiglio
va’ e prenditi cura della vita ma unica gioia
resta il dolore e solo la morte può renderti felice
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Le seguenti immagini sono tratte dal web:
sepolcro di Antonia Gandino, dipinto di Hackert, eremo di Maiori, stemma Galimi.
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