02/05/20

Una storia camaldolese


Nella chiesa dell’eremo dei Camaldoli a Napoli, due lapidi ci ricordano una generosa e dolorosa storia che coinvolse una madre e il suo amato giovane figlio, vicenda che si intreccia con lo sviluppo di specifiche comunità monastiche nel Regno di Napoli.
Nella terza cappella a destra troviamo due lapidi, una per lato, poste nel Seicento da Giovanna Rossa in memoria del figlio Bernardino Galimio, il cui autore fu un anonimo monaco dell'eremo napoletano. Una di esse è un epigramma latino che ricorda lo stile dell'umanista Antonio Epicuro (1472 - 1555), abruzzese di nascita ma vissuto a Napoli dove fu membro dell'Accademia Pontaniana. In particolare quello da lui composto in memoria di Antonia Gandino.
Tra le due tragiche vicende vi sono alcune similitudini.
Stemma della Congregazione
degli Eremiti Camaldolesi
di Monte Corona
(Napoli, pavimento del refettorio).
Antonia, promessa sposa di Geronimo Granata,  era figlia unica di Giovannello Gandino e Eliodora Bossa, così come unico era il figlio di Giovanna Rossa. La ragazza morì a 14 anni non ancora compiuti il 31 dicembre 1530, giorno fissato per le nozze, Bernardino Galimio anche scomparve prematuramente (non è indicata l'età precisa) il 1 gennaio 1612. Sul monumento funebre di Antonia Gandino, opera di Giovanni da Nola nella chiesa di Santa Chiara a Napoli, furono scritti un epigramma ed un epitaffio: così come per Bernardino Galimio vi sono due iscrizioni nella chiesa dell'eremo del SS. Salvatore ai Camaldoli.
Ma anche i testi dei due epigrammi in qualche modo sono in assonanza.
Già nei primi versi di quello dettato da Antonio Epicuro per Antonia Gandino si legge lo strazio dei genitori:
Sepolcro di Antonia Gandino
(foto Sommer).
nata heu miserum misero mihi nata parenti
unicus ut fieres unica nata dolor
(...)
Il testo continua con accenti di rammarico, attraverso i quali il padre e la madre esprimono il desiderio di voler essere lì nel sepolcro con l'amata figlia, desiderio presente anche, come vedremo più avanti, nell'iscrizione sepolcrale di Bernardino. Questo pregevole monumento funebre è andato distrutto nel bombardamento del 4 agosto 1943 e non è più presente in chiesa; anche l'epitaffio dedicato dal poeta Berardino Rota ad Antonio Epicuro, il cui sepolcro era nei pressi, è andato perduto.

L'epigramma per il giovane Galimio, sciogliendone le abbreviazioni, recita:

Deo Optimo Maximo
unicus heu miseram natus post fata mariti
spes una et pulcher flos super unus erat
ille meis udus lacrymis adolevit amaris
ille mei gemitu pectoris incaluit
dumque halat multaeque ardent in vota puellae
ungue illum carpit mors inopina nurus
i nunc et vitam cura cui sola voluptas
stat dolor et quam mors una beare potis (*)

In essa è raccolto lo strazio per la perdita del figlio, nato quando lei già era vedova. L'unico piacere  della vita per la madre, adesso, è sopportare il dolore e unire la propria morte alla sua.


Chiesa dei Camaldoli a Torre del Greco.
Stemma della Congregazione
degli Eremiti Camaldolesi
di Monte Corona (Torre del Greco,
acquasantiera nella chiesa).
Giovanna Rossa era una benefattrice della Congregazione degli eremiti camaldolesi di Monte Corona (autonoma rispetto a quella di Camaldoli in Toscana), nata come riforma in Umbria nel 1520 per iniziativa del Beato Paolo Giustiniani, sempre restando nel solco del fondatore San Romualdo (ca. 953 - 1027). Questo ramo dei monaci camaldolesi è stato presente nel Regno di Napoli con ben sei comunità. In ordine cronologico, le fondazioni sono:
- 1577 Eremo di Santa Maria dell'Incoronata a Sant'Angelo a Scala (AV);
- 1585 Eremo del SS. Salvatore e Santa Maria in Scala Coeli a Napoli;
- 1602 Eremo di Santa Maria degli Angeli a Visciano (NA);
- 1602 Eremo di San Michele Arcangelo a Torre del Greco (NA);
- 1607 Eremo di Santa Maria in Gerusalemme a Vico Equense (NA);
- 1687 Eremo di Santa Maria dell'Avvocata di Maiori (SA).
La chiesa dell'eremo di Visciano.
A Napoli, nei pressi di Porta San Gennaro, nel Seicento vi era anche un Hospitio, dove risiedeva il Padre Procuratore generale di questi eremi presenti nel Regno di Napoli, insieme ad alcuni altri monaci, con il compito di procurare tutto ciò di cui avevano bisogno gli eremiti, come anche esercitare le riscossioni e sanare le liti. Qui pernottavano e mangiavano gli eremiti, quando per necessità dovevano recarsi a Napoli.
Occorre poi aggiungere un'infermeria, con chiesetta e masseria, verso l'allora villaggio di Antignano a Napoli (di esse resta solo il nome della zona: Camaldolilli), una grangia ad Angri e una chiesa con foresteria, eretta dai camaldolesi di Napoli nel XVII secolo, a Campagna, entrambi comuni oggi in provincia di Salerno. Il complesso di Campagna, dopo un lungo abbandono, è stato recentemente recuperato da una cooperativa sociale che ne ha fatto una struttura ricettiva e produttiva, in cui si pratica l'agricoltura sociale per favorire l'integrazione di persone svantaggiate.
Il 13 maggio 1771 Papa Clemente XIV creava, con il breve Ea est,  un'indipendente Congregazione Napoletana con i sei eremi campani, che ebbe vita temporanea prima di essere nuovamente annessa alla Congregazione di Monte Corona. L'eremo di Napoli passò poi alla Congregazione di Camaldoli (AR) nel 1962, sicché l'ultimo eremo campano abitato da monaci della Congregazione di Monte Corona è stato quello di Visciano.
Va infine precisato che nel Regno vi erano all'epoca anche altre due fondazioni camaldolesi, in Abruzzo: Eremo di San Nicola di Corno ad Isola del Gran Sasso (TE) e Monastero di Sant'Agostino di Basciano (TE). Tuttavia esse non appartenevano alla Congregazione di Monte Corona, bensì a quella di Fonte Avellana e, alla soppressione di quest'ultima nel 1569, a quella di San Michele di Murano. 

L'eremo di S. Maria dell'Incoronata in un dipinto di J.P. Hackert (1799).
Giovanna Rossa fece generose offerte per l’ampliamento dell’eremo di Torre del Greco, costruito grazie ad un consistente lascito di un notabile di Messina, Cesare Zaffarana, sul luogo dove preesisteva una chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. Chiesa e terreno erano stati affidati ai camaldolesi in censo enfiteutico dal Cardinale di Napoli Alfonso Gesualdo, con suo decreto del 1 marzo 1602. Gli eremiti vi furono espulsi nel 1866, a seguito delle soppressioni dei monasteri perpetrate dal neonato Regno d’Italia. Il complesso fu acquistato da un privato che abbatté le celle. I camaldolesi non vi fecero mai più ritorno. Oggi sopravvivono la chiesa e parte della foresteria, con una struttura moderna realizzata dai Padri Redentoristi di S. Alfonso Maria de’ Liguori, proprietari dell’area dal 1954.

Interno della chiesa dell'eremo di Napoli.
Eremo di Vico Equense.
Nel 1613 la signora Rossa chiese il patrocinio di una cappella nella chiesa dell’eremo di Napoli, ove poter essere sepolta lei e il figlio Bernardino Galimio. In considerazione dei suoi meriti verso la Congregazione, quanto richiesto le fu concesso. Giovanna Rossa, infine, lasciò in eredità all’eremo di Torre del Greco 500 scudi e altrettanti a quello di Vico Equense, edificato anch'esso grazie al lascito dello Zaffarana. L'eremo camaldolese di Vico, sito nella frazione Arola, ancora esiste parzialmente, ma oggi è conosciuto col nome di Masseria Villa Giusso Astapiana, agriturismo.

Eremo di Maiori.
Le spoglie della generosa e sfortunata Giovanna e dell'amato figlio Bernardino riposano, dunque, nella cappella della chiesa camaldolese di Napoli, il cui eremo è stato lasciato dai monaci nel 1998. Attualmente è gestito dalle suore brigidine (Ordine del SS. Salvatore di Santa Brigida) come loro convento e struttura ricettiva.

L'iscrizione a destra, sciolte le abbreviazioni, recita:

Deo Optimo Maximo
bernardino galimio unico filio itidemque unico
dolori qui cum immature rapto spem omnem omnemque
vitae dulcedinem infelix sepelyt seque ipsam modo
per pietatem liceret libenter sepelysset ioanna
rossa mater praeter votum superstes ad doloris
perennitatem maestissima posuit
obiit die primo mensis ianuarii
Anno Domini mdcxii

Foresteria di Campagna (SA)
Anche in questo caso è espresso il dramma sconvolgente della madre per la morte prematura (probabilmente da bambino o adolescente) del figlio Bernardino, avvenuta il 1 gennaio 1612. Con lui, si legge, è seppellita ogni mia speranza, ogni dolcezza della mia vita. Qui è anche indicato il nome di questa benefattrice, Ioanna Rossa, la quale afferma che volentieri, se la fede lo avesse permesso, si sarebbe fatta seppellire insieme al figlio a perpetua memoria del suo dolore.
Galimio è cognome di origine calabrese, conosciuto anche nelle forme Galimi e Galami. Dei Galimi di Tropea si conosce l'arma: troncato; nel 1° d’azzurro, alla corona d’oro circondata da cinque stelle di sei raggi dello stesso; nel 2° mareggiato d’azzurro e d’argento, a tre pesci del secondo nuotanti verso sinistra, posti 2 e 1. L'appartenenza a questa famiglia del defunto marito di Giovanna Rossa, del quale si ignora il nome, rappresenta una mera ipotesi ancora da riscontrare.

Stemma dei Galimi di Tropea.


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* Negli ultimi due versi la madre esorta se stessa (va'...):

A Dio Ottimo Massimo
Ahimé misera unico era dopo la morte del marito
sola speranza e fiore più bello
crebbe cosparso delle mie lacrime amare
si riscaldò sul mio petto gemebondo
e mentre respira e molte fanciulle ardono di amore per lui
la morte nuora inaspettata lo ghermisce con il suo artiglio
va’ e prenditi cura della vita ma unica gioia
resta il dolore e solo la morte può renderti felice
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Le seguenti immagini sono tratte dal web:
sepolcro di Antonia Gandino, dipinto di Hackert, eremo di Maiori, stemma Galimi.

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