23/04/19

Il giudice e i cacciatori




All’inizio di via Manzoni, sulla sinistra, si trova la settecentesca Villa Patrizi con belle linee barocche e il portale di gusto sanfeliciano, laddove, al lato opposto della strada, si apre una viuzza chiamata via vicinale Torre Cervati che scende lungo il fianco della collina sul versante di Fuorigrotta. Quest’area un tempo rappresentava, insieme con la villa, l’estesa proprietà del marchese e giudice Pietro Patrizi: unepigrafe coeva ce ne racconta una storia.

L'ex monastero di San Giovanni
Per trovare l’iscrizione bisogna inoltrarsi un poco per questa via vicinale Torre Cervati, che prende il nome da un’antica torre di epoca medievale, dei marchesi Cervati, andata distrutta. La stradina era percorsa in passato anche dal famoso “muro finanziere”: l’ultima murazione di Napoli risalente all’800. Dopo un breve tratto, sulla sinistra si nota un rudere in tufo: uno degli accessi alla tenuta, tutto ciò che resta dell’antica masseria sostituita nel tempo da costruzioni e aree di parcheggio.
Il Patrizi, come ricorda l’epigrafe, possedeva una cospicua massaria di circa moggia cento trenta (130 moggi erano pari a quasi 44 ettari) a Posillipo, in questa zona detta San Giovanni dove sorgeva un monastero (poi diventato masseria e attualmente destinato ad abitazione), circondata per protezione da mura e siepi, nonché provvista di porte chiudibili. A partire dall’arco con l’epigrafe la strada si chiama oggi cupa San Giovanni. Egli denunciò alla Delegazione del Regio Ufficio di Montiero Maggiore, il fatto che alcuni cacciatori, avendo scavalcato dette mura e siepi, avessero danneggiato la proprietà, domandando opportuni provvedimenti per evitare il ripetersi di tali atti.
L'accesso alla masseria sormontato dall'epigrafe

Il Montiero Maggiore aveva competenza in materia di caccia, come il rilascio delle licenze, la riscossione dei diritti dell’erario, la vigilanza di campagne e paludi (una sorta di guardiacaccia), ma soprattutto la giurisdizione sui reati di caccia. Interessante il fatto che il Montiero Maggiore esercitasse anche l’avvocatura della caccia: in un’epoca in cui vi era grande e diffuso interesse per l’attività venatoria, secondo una sensibilità non paragonabile a quella dei tempi attuali in cui prevale la contestazione verso di essa, l’ufficio era deputato alla difesa dei diritti di caccia. Da lungo tempo l’ufficio di Montiero era stato alienato e finito in mani private; fu Re Carlo di Borbone che, nel 1755, lo ricomprò dal Principe di San Lorenzo, esercitando il diritto di prelazione previsto nell’antico contratto di vendita e ne fece, praticamente “nazionalizzandolo”, un servizio pubblico con una nuova organizzazione. Così si legge nell’incipit della sua prammatica del 22 giugno 1755: “Essendosi la Maestà del Re nostro Signore, Dio guardi, sempre intenta al benefizio di questo Regno, e de’ suoi fedelissimi Vassalli degnata di ricomprare l’Officio di Montiero Maggiore di questo Regno da molto tempo alienato, e ultimamente posseduto dal Principe di San Lorenzo, esercitando la facoltà che stava riservata nel contratto della vendita, con incaricarne a Noi l'amministrazione (…)”.
Juan de Zúñiga
Quella della caccia era una materia che nel nostro Stato duosiciliano già due secoli prima aveva avuto una precisa disciplina. La prima prammatica è del Viceré Juan de Zúñiga y Avellaneda Conte di Miranda e proprio il problema dell’accesso dei cacciatori alle proprietà private recintate e chiuse era stato all’origine di questa disciplina: “comandiamo a tutte, e quali si vogliano persone, ancorché abbiano licenze da Noi, o da altri, che non possano andare a cacciare, ed entrare nel detti territorj serrati, sotto pena di tre anni di galea, ed altre pene riservate a nostro arbitrio” (12 maggio 1588). Un tema quanto mai attuale, considerando che, sul medesimo punto dell’accesso ai fondi privati, vi sono stati in Italia due referendum nel 1990 e nel 1997.
Ricevuta la denuncia del marchese Patrizi, dunque, l’Ufficio del Montiero Maggiore accertò anzitutto la reale esistenza della recinzione. Questa azione di verifica, che l’epigrafe riporta, fa riflettere sul fatto che non bastava la parola di un titolato marchese e giudice a far scattare i provvedimenti ma, com’è giusto, si andò a riscontrare che effettivamente tutta la proprietà fosse chiusa e resa inaccessibile. Ciò constatato (“informati che realmente la divisata massaria sia all’intvtto chivsa”),  venne promulgato, in data 12 maggio 1779, il banno con il quale si faceva divieto a chiunque di entrare nella masseria qualora i portoni fossero chiusi e, ugualmente, di scavalcare le mura e danneggiare le siepi per intromettersi nella stessa.
Per i contravventori, non solo cacciatori ma “qvalsivogliano persone di qvalvnqve stato grado e condizione, era stabilita la seguente pena:
-     carcerazione;
-     perdita dello schioppo e di tutti gli arnesi da caccia, se trattavasi di cacciatori;
-     una multa di 50 ducati, per ogni volta, da versarsi al Regio Fisco.
Inoltre i guardiani della masseria, cioè il personale di custodia alle dipendenze del proprietario, ricevettero facoltà di farsi aiutare da chiunque per bloccare gli intrusi, per poi darne rapidamente notizia alla Delegazione.
Infine, per pubblica informazione e applicazione della sanzione, senza che alcuno potesse opporne la mancata conoscenza, si ordinò l’affissione del banno a Posillipo e Fuorigrotta. Quest'ultima copia è probabilmente andata perduta, mentre l’epigrafe di via vicinale Torre Cervati resta testimone del tempo in cui la zona, oggi fortemente urbanizzata, era un’area verdissima e ricca di selvaggina.

Ecco la trascrizione integrale del testo:

Essendo stato dal m.co procvratore del regio givdice di vic.a d. pietro patrizio
esposto in qvesta delegazione del regio officio di montiero maggiore del re-
gno che possedendosi da esso regio givdice vna cospicva massaria di circa moggia
cento trenta sopra la villa di posilipo nel lvogo denominato s. giovanni e
con tvtto che fvsse circondata da mvra e da forti siepi che la chivdono e
le porte chivse pvre si ardiva da’ cacciatori col pretesto della caccia sca-
valcare le mvra e siepi svd.e di dannificarla con aver domandato gli or-
dini opportvni per evitarsi tali inconvenienti ed informati che realmen-
te la divisata massaria sia all’intvtto chivsa nella maniera disopra espres
sata percio in esecvzione del capo ottavo de’ regii generali banni di detto re-
gio officio facciamo il presente banno col qvale si fa noto e manifesto a tvtte e
qvalsivogliano persone di qvalvnqve stato grado e condizione si siano che
dal di della pvblicazione del presente non ardiscano non solo di en-
trare in detta masseria qvalora j portoni di essa stiano chivsi ma
ancora scavalcare le mvra e rompere le dette siepi ed intromettersi
in essa sotto pena di carcerazione perdita dello schioppo di tvtti li arne-
si di caccia qvalora siano cacciatori e di dvcati cinqvanta per ogni volta
da applicarsi a beneficio del regio fisco con essere lecito alli parsonali
e gvardiani della massaria pred. di chiamare in loro aivto qvalvnqve altra
persona per l’arresto de controvenienti con darne svbito la notizia a qvesta
delegazione accio si possa contro di qvelli procedere allocché si conviene per l’
esazzione della prescritta pena ed affinchè da ognvno se ne abbia la piena scien-
za ordiniamo che il presente venghi pvblicato non meno in detta villa di posilipo
che in qvella di fvori grotta con affigersene respettivamente le copie accio non
si possa allegare cavsa d’ignoranza pvblicetvr et in calce praesentis informa re-
feratvr datvm neapoli ex regia delegatione regii officii monteratvs majoris
hvjvs regni die 12 mensis maii 1779.

LAVRENTIVS PATERNÒ
D.R ANTONIVS FERRARO MAG.R ACT.m
PASCHALIS CLEFFI ACT.S DELEG.NIS

ADEST SIGILLVM &. c



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Per altre epigrafi con banni, si può vedere su questo blog: "Andar per banni".

L'incisione di Juan de Zúñiga è tratta da:
D. A. Parrino, Teatro eroico, e politico de' governi de' Viceré del Regno di Napoli dal tempo del Re Ferdinando il Cattolico fino al presente, Parrino e  Mutii, Napoli 1692, volume I, libro secondo, p. 358.

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