Ventiquattro “maestrine
coraggiose”, istitutrici dei Reali Educandati di Napoli, meno di un anno dopo
la proclamazione del Regno d’Italia, ben consapevoli che si trattasse di una
mera occupazione e dell’inizio di una dolorosa storia, rifiutarono di prestare
giuramento a Vittorio Emanuele II. Furono espulse e persero in un sol colpo
casa e lavoro. Rifiutarono di allontanarsi spontaneamente e furono messe in
strada con la forza pubblica.
Praticarono la disobbedienza civile
e la noncollaborazione: la resistenza nonviolenta agli invasori che erano
venuti a toglierci l’indipendenza.
Calato il velo dell’oblio su di
esse, condannate alla damnatio memoriae
dal regime italiano, delle audaci patriote duosiciliane si era persa ogni
traccia. Dopo aver pubblicato questa storia, con i nomi di tutte coloro che parteciparono, ho iniziato il lavoro di
individuazione dei loro luoghi di sepoltura: perché non vengano dimenticate,
perché il loro esempio ispiri l’impegno per la liberazione della nostra terra.
Si può leggere su questo blog il
ritrovamento di alcune di esse:
La quinta ad essere individuata si
chiamava Aurora, viveva e lavorava nel Real Educandato di piazza Miracoli: era
dunque collega di Bianca Dusmet.
Apparteneva ad una famiglia di
rango elevato ed il suo nome completo era: Aurora Maria Donata Alfonsa Caravita
di Sirignano. Nacque a Napoli il 6 luglio 1822 da Vincenzo Caravita dei
Principi di Sirignano e Maria Luisa de’ Liguoro dei Principi di Presicce, prendendo
il nome della nonna materna Aurora Maria Rogadeo.
Il padre era ispettore di sanità, deputato
del “Supremo Magistrato di Salute”, organo che deliberava su tutte le misure
generali concernenti la sanità pubblica. Sposò in prime nozze la de’ Liguoro,
dalla quale ebbe cinque figli di cui Aurora era terzogenita e, rimasto vedovo,
Maria Antonia Piro, dalla quale ebbe altri quattro figli. La piccola Aurora ben presto, dunque, divenne orfana di madre, poiché Maria Luisa de’ Liguoro si spense la vigilia di
Natale del 1832, quando lei aveva appena dieci anni; il giorno dopo, Natale,
morì anche la nonna materna. Un autentico trauma per la bambina.
Aurora Caravita, messa davanti all’aut aut di giurare o essere espulsa, avrebbe avuto tanti motivi e tanta convenienza ad accettare di tradire la sua
terra: persino i dolori dell’infanzia, con la perdita in due giorni di mamma e
nonna, avrebbero potuto indebolirne la volontà e sospingerla a cedere ed acconsentire.
Il decreto di nomina (strumentale, perché diretto ad una lavoratrice già in
servizio) che comportava l’obbligo del giuramento era datato 26 dicembre 1861:
quando la maestrina coraggiosa oppose il suo primo rifiuto aveva appena vissuto l’anniversario delle due
gravi perdite affettive (24 e 25 dicembre); il secondo e definitivo "no" lo pronunciò il 7 gennaio 1862. Nulla la piegò. Lei era donna di
fede e di fedeltà, aveva una sola parola e l’aveva già data al legittimo Re delle Due Sicilie che l'aveva assunta. Vittorio Emanuele II, l’usurpatore, l’invasore, non avrà il suo
consenso. Perciò rifiuta di sottomettersi al Regno d’Italia, lei, la patriota
duosiciliana resistente nonviolenta. E viene licenziata ed espulsa. Si rifiuta di piegarsi
al diktat del regime italiano: ha circa 40 anni, da compiere da lì a sei mesi, e per quell’epoca è considerata
una donna senza prospettive né di matrimonio né di inserimento lavorativo.
Il padre muore tre anni dopo il suo gesto
coraggioso.
Dopo la morte di Vincenzo Caravita,
avvenuta il 20 febbraio 1865, il Regno d’Italia riconobbe alla seconda moglie
(Maria Antonia Piro) e alle figlie nubili (Aurora, Maria Luisa e Giulia) una
pensione fino al perdurare dello stato di vedovanza per l’una e di nubilato per
le altre. Maria Luisa ne beneficiò fino al 1873, allorché sposò il diplomatico
Federico Arpa; Giulia ne beneficiò per tutta la vita, essendo la Badessa del
Monastero di San Gregorio Armeno a Napoli. Sicuramente per Aurora rappresentò
una fonte di sostentamento, maturata non già dall’inesistente generosità dello
Stato italiano, che l’aveva invece privata del suo lavoro ed abitazione, ma
grazie al servizio reso dal padre allo Stato duosiciliano, e all’ordinamento
vigente in quest’ultimo: infatti la legge applicata per l’erogazione della
pensione era del Regno delle Due Sicilie, datata 3 maggio 1816.
Il silenzio l'ha accompagnata
anche in morte, è infatti sepolta nella tomba comune di famiglia la cui lastra
riporta solo il cognome: senza specificare nulla, neppure la data del decesso.
Si trova a Napoli, Cimitero di Poggioreale, nell’ipogeo della cappella della Reale
Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori in San Ferdinando di
Palazzo. Nello stesso ipogeo c’è anche la tomba della sorella di Bianca Dusmet,
la collega di Aurora Caravita che subì il suo stesso trattamento: Lucrezia
Dusmet, coniugata con Giuseppe Castrone.
A pochi passi dalla cappella dove
vi è il sepolcro di Aurora c’è la tomba del Ministro dell’istruzione pubblica Francesco De Sanctis e, poco discosta, quella di Luigi Settembrini, Delegato all’istruzione pubblica
nelle province napoletane: i due che la osteggiarono e la espulsero.
Per andare da Aurora, bisogna oltrepassare De Sanctis e Settembrini.
Per vedere la luce dell'aurora bisogna oltrepassare le tenebre della notte.
Per andare da Aurora, bisogna oltrepassare De Sanctis e Settembrini.
Per vedere la luce dell'aurora bisogna oltrepassare le tenebre della notte.
Reale Arciconfraternita di Nostra Signora dei Sette Dolori in S. Ferdinando di Palazzo |
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