07/06/20

La campana di Sant'Antonio

C’è una piccola antica chiesa a Napoli, dedicata a Sant’Antonio, che passa quasi del tutto inosservata se non la si conosce e le si presta attenzione. Si trova in via Salvator Rosa, inglobata in un palazzo, ed è costantemente chiusa.

Forse perché di modesto valore artistico, è ignorata dalle guide della città anche coeve; tuttavia, partendo da un’epigrafe sulla facciata, si può cogliere un poco la storia che essa racconta.
La cappella fu edificata nella prima metà del Settecento, pochi anni dopo che  Carlo di Borbone era entrato in città: con lui Napoli cresceva nel suo ruolo di grande capitale di uno Stato indipendente. Carlo scelse di non assumere il numerale VII che gli sarebbe spettato sul trono di Napoli, proprio per evidenziare la nascita di un nuovo Regno, libero da qualsiasi influenza o dominazione straniera. 
L'epigrafe sulla facciata della cappella.
Artefice della pia iniziativa fu Antonio Valentini, proprietario del terreno che si affacciava sull’Infrascata, antico nome della via che dal centro risaliva verso l’Olimpiano: la collina del Vomero. Egli volle dedicare la chiesa al suo patrono Sant’Antonio, come un corpo unico con la propria abitazione soprastante. Ancora oggi si vede la campana affacciarsi da una nicchia al primo piano, singolarmente paralizzata nell’atto di battere l’ultimo rintocco della sua vita.

La realizzazione avvenne per sua esclusiva iniziativa, con diritto di patronato, e con decreto del 1739 l’Arcivescovo Cardinale Giuseppe Spinelli impose l’obbligo di tre celebrazioni alla settimana a carico del Valentini. Mons. Spinelli fu attivo in diocesi soprattutto sul piano delle riforme, promuovendo in particolare una migliore formazione del clero; con lui collaborò una personalità del calibro di S. Alfonso Maria de’ Liguori. Si dimise il 9 aprile 1753, perché i rapporti con i fedeli, difesi da Re Carlo, si erano fatti tesi: Mons. Spinelli, infatti, voleva introdurre il Sant’Uffizio a Napoli. Papa Benedetto XIV lo nominò Amministratore Apostolico della Diocesi, funzione che mantenne fino all’8 febbraio 1754: l’11 dello stesso mese iniziò il servizio episcopale a Napoli il suo successore.

Il Card. Giuseppe Spinelli
in un dipinto inventariato
dalla Diocesi di Aversa.
Antonio Valentini lasciò erede il nipote Francesco, figlio del fratello Diego, il quale si prese cura della chiesetta e fece apporre in memoria del pio e generoso zio l’epigrafe da cui siamo partiti. Era il mese di ottobre del 1782, Napoli aveva già fatto un grande tratto di strada nel suo sviluppo, tanto che, l’anno precedente, Ferdinando IV, succeduto a Carlo nel 1759, aveva commissionato al geografo Giovanni Antonio Rizzi Zannoni l’Atlante Geografico del Regno di Napoli: nasceva la cartografia moderna. L’Arcivescovo, come detto, non era più Spinelli: dopo di lui si erano avvicendati il Cardinale Antonino Sersale e poi il monaco benedettino Serafino Filangieri. Ma quest’ultimo morì un mese prima dell’epigrafe e la sede diocesana era in quel momento vacante. Bisognerà aspettare fino al 16 dicembre 1782 per il nuovo Arcivescovo: il Cardinale Giuseppe Maria Capece Zurlo che Ferdinando IV insignì della Gran Croce dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio.

Sotto il fabbricato si estende, come largamente accade nel centro di Napoli, un'antica cava di tufo, forse estratto proprio per edificare il palazzo e la cappella. L'ambiente, collegato a gallerie che arrivano fin verso la distante piazza Municipio, fu poi riutilizzato come cisterna per la raccolta di acque piovane. A metà degli anni Novanta, in questi ambienti tufacei sotterranei a temperatura costante fu realizzata una cantina, dove un'azienda vinicola produceva vini D.O.C.G., D.O.C. e I.G.T., fino alla chiusura nel corso dell'emergenza Covid-19 del 2020.


Frontespizio delle regole del seminario
emanate da Spinelli il 3 novembre 1744.

3 commenti:

  1. Ho sempre visto con curiosità quella campana che spuntava tra i piani del palazzo.
    Ora ho una risposta.
    Grazie

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  2. Ovviamente complimenti per il suo prezioso lavoro di ricerca

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